Di Sara Roncato. Cochapamba è una realtà povera, un barrio a nord-ovest di Quito caratterizzato da numerose e ripide salite. L’incornicia un bosco di eucalipti, un insieme di antenne di vario genere, le cosiddette “antenas”, che spiccano sulla sommità della montagna, e molto cemento.

Ci vogliono sette vite, o forse di più, per affrontare questo servizio civile. Vi chiederete perché mi permetto di scrivere una frase come questa? Perché quest’esperienza è davvero intensa e impegnativa.
Di Annalisa Sisto. “Fare” per me e per Vanessa, Emiliano, Chiara, Bryan, Julio, Jose, Noè, Padre Cristian, Norma, Lucia, Lucita, Lilianita e per tutti i bambini che passeranno, e sono passati da qui, è stata l’alternativa più giusta.
Di Annalisa Sisto. Lavorare in una scuola pubblica per bambini con necessità affettive ha tanto da insegnare. Una scuola pubblica nella selva è un diamante prezioso che sogna persino un bimbo della nostra società.
Di Annalisa Sisto: Cosa significa un anno di servizio civile? In una città quasi fantasma? In una scuola immersa nel verde della selva e abitata da anime fragili dal sorriso contagioso?
Di Luis Pellegrini. Questa sera sono arrivato al terminal di Manta. E’ il 28 Dicembre e domani viaggerò verso Esmeraldas per passare il capodanno a Monpiche. Scendo dall’autobus e mi dirigo verso un quartiere dove anni fa ho trovato
Di Enza Caputo. Dopo tanti mesi di lavoro, il 17 settembre, in compagnia di tantissima gente, la biblioteca di Cochapamba è stata inaugurata. Libri catalogati, codici inseriti, un piccolo computer, le foto dei bellissimi bambini che frequentano il centro appese ai muri, un cartello con su scritto “Cochapamba vive”.
Lo scorso 10 dicembre è sbocciato a Quito un piccolo angolo di Italia, profumato di lasagne e tiramisù. Nella Casa delle Ancelle della Carità,