Di Sara Roncato. Cochapamba è una realtà povera, un barrio a nord-ovest di Quito caratterizzato da numerose e ripide salite. L’incornicia un bosco di eucalipti, un insieme di antenne di vario genere, le cosiddette “antenas”, che spiccano sulla sommità della montagna, e molto cemento. È qui che mi ritrovo con Lorenzo da fine novembre. In due inizialmente: ad occuparci di “tareas dirigidas”, con i bambini che vengono per il doposcuola; a passare del tempo con gli “abuelitos/as”, che ogni mattina raggiungono il portone del centro pittato di verde con i loro ritmi, lenti; a far visita a qualche signora o famiglia per esercizi fisici, alfabetizzazione o semplice compagnia.
Alla fin fine, viaggiando e anche non viaggiando, mi rendo conto di come la vita sia spesso sinonimo di relazioni umane. E allora lo stare insieme diventa un regalo prezioso che due o più persone si fanno vicendevolmente. Accade con la famiglia, con gli amici, con degli sconosciuti. Uno scambio che permette di riscoprire la parte umana che accomuna tutti, senza barriere, dovunque ci troviamo.
Le attività sono varie, abbastanza organizzate, l’alternanza di ruoli rispetto alle visite nelle case è in fase di sperimentazione, un primo mese di assestamento. Infine giunge l’Angelo, nostra terza parte: ora siamo finalmente al completo per cominciare un 2018 in pompa magna, di spirito s’intende, e fare quel che meglio possiamo come possiamo.
Salite le scale che portano a: mercatino di “ropa de segunda mano” (abbigliamento di seconda mano), farmacia, piccolo ufficio delle suore e studio dentistico, fa capolino un orto con la sua serra. Ogni anno viene preso in mano da volontari più o meno agricoltori, ora tocca a noi: mi rassicura la mano verde di Lorenzo, di formazione giardiniere.
Poi un corso di due giorni di “permacultura” mette in moto il mio entusiasmo per trattare in maniera più diretta e rispettosa la “Pachamama”. Mi sento orgogliosa dei miei due compagni, credo che per alcuni aspetti ci assomigliamo e per altri siam diversi, dandoci magari un’opportunità per arricchirci e crescere insieme, in questa giostra in cui abbiam deciso di salire e fare un giro.
Un Natale improbabile arrivato senza sentirlo, lontani da cappotti e luci e lucine in abbondanza. Un gruppo che ha in comune il trovarsi qui, come volontari ENGIM, festeggia le feste, ignaro di quanto ancora lo aspetta. Ma siamo insieme e nelle nostre unicità percepisco una disponibilità importante da parte di tutti ad offrire la propria presenza, il proprio interesse per l’altro.
Una prima lezione che mi si offre è il coltivare la pazienza. Pazienza con sé stessi rispetto ad aspettative ed emozioni; pazienza con bambini, adulti e anziani; pazienza fra noi. Perché ci vuole tempo, tempo per riconoscere la realtà mutevole e accettarla, tempo per addentrarsi nelle storie e permettersi di cambiare la propria visione, tempo per trovare un equilibrio nella vita quotidiana condivisa. E sorrido, pensando che non è mai finita.