Di Giusy Zacaria. Novembre in Messico è un mese incredibilmente importante. Forse il più importante. E’ infatti il mese della “Santa Morte”, di questa meravigliosa compagna, amica, sposa di tutti i messicani, vestita di colori, frutta, crani incredibilmente decorati e deliziosi e succulenti piatti tipici. Il concetto della morte messicano non ha nulla a che vedere con quello che abbiamo noi in Italia o in Europa o direi nel Mondo intero!
La morte per i messicano, oltre che ad essere inevitabile, è, oserei dire, “benvenuta”, affettuosamente accettata, se non quasi amata e adorata. Mi sono chiesta mille volte come sia possibile che il giorno dei morti possa essere un giorno tanto gioioso e colorato, e varie sono le risposte che mi sono data e mi ha dato la gente. Una delle interpretazioni possibili bisogna ricercarla nella particolarità della cultura messicana, la tendenza, tutta latina, di far “buon viso a cattivo gioco”, di trovare sempre il lato positivo della vita, di accettare quello che viene così com’é, senza lamentarsi eccessivamente. Il cercare sempre la parte positiva delle cose, quella divertente, spiega infatti come riescano a trasformare un giorno, in teoria triste, in una festa indimenticabile, fatta di travestimenti, scherzi, giochi, tanto cibo e … tanto alcool!
La relazione dei messicani con la morte è talmente naturale che i bimbi parlano di essa con una semplicità incredibile: durante i giorni precedenti al 2 novembre, infatti, scrivono le “calaverite”, piccoli racconti in rima in cui si narra la futura e imminente morte di un amico, del maestro, dei genitori o addirittura di se stessi, tutto in un divertente e un po’ macabro clima mortale. Tutti i bimbi in questi giorni si travestono da cadaveri o scheletri, e girano per le strade della città a chiedere dolci e doni a tutte le persone che incontrano. Anche nel nostro Centro abbiamo organizzato il “festival della Calavera più bella“, e, nonostante io continuassi ad essere a momenti stupita, per i bimbi di 5 e 6 anni non era affatto un problema dire che erano vestiti dalla “bimba morta investita” o del “bimbi ucciso a coltellate!”
In tutta la città si organizzano visite nei cimiteri accompagnate da leggende e racconti dell’orrore, i cui protagonisti girano indisturbati tra le tombe nell’oscurità, per spaventare, appena è possibile, tutti i partecipanti del tour. Nel centro della città si organizzano sfilate e competizioni tra adulti travestiti da eleganti scheletri, facce bianche e brillanti attorno agli occhi, e donne con abiti ottocenteschi lunghi e colorati. La città in questi giorni è invasa da tante belle “Catrine”, la più importante rappresentazione della morte nel Paese che, creata dal grande artista Guadalupe Posada, disegnatore e fumettista nativo di Aguascalientes, si è trasformata oggigiorno nel più elegante e incantevole simbolo della morte in Messico. Una donna bellissima, o meglio uno scheletro bellissimo, vestita con abiti eleganti che Posada creò per deridere le “garbanzine” dell’ottocento, letteralmente le venditrici di ceci, le quali, per apparire di uno status sociale diverso e più alto, si vestivano con abiti eccessivamente eleganti e appariscenti, truccate e “adornate come alberi di natale”. Vittime dell’ironia dell’Artista, le rime di cui sono protagoniste le ricordano che, per quanto cerchino di nascondersi dietro abiti e falsi gioielli, anche loro prima o poi dovranno morire e diventare scheletri esattamente come gli altri.
Oltre ai travestimenti e alle sfilate, altra grande differenza del modo di festeggiare il giorno dei morti in Messico è la relazione con i propri defunti e i cimiteri. Niente a che vedere con le nostre facce tristi, tutti vestiti di nero a pregare e vagare nel cimitero. I cimiteri messicani in quei giorni si riempiono di incredibili colori, appetitosi odori e inevitabile folclore. Secondo la tradizione, infatti, il giorno dei morti è un giorno di fasta da passare con i propri defunti, ma letteralmente da passare insieme!
I familiari si dirigono al cimitero fin dal 1 novembre, portano con se cibo, alcool, musica e addobbi colorati, e, con il tradizionale fiore arancione, iniziano ad adornare la propria tomba in attesa della festa. Il Chempasúchil, che in lingua náhuatl significa “fiore dai venti petali”, é un fiore di un incredibile colore giallo-arancione conosciuto da tutti per essere l’ornamento più popolare del giorno dei morti fin dell’epoca degli Azteca. La pianta fiorisce solo dopo la stagione delle piogge, e proprio per questo motivo si è trasformato, insieme alle “calaverite di zucchero” e il “pane dei morti!”, in una delle icone della festa. I parenti dei defunti portano alla tomba dei propri cari i piatti che più adoravano da vivi, cucinati solo per loro in questo giorno santo. Gli odori si mescolano, e ovunque ti giri la vista di enchiladas, uova strapazzate e carne cucinata in tutti i modi già ti ha aperto lo stomaco! Immancabili sono le bottiglie di tequila: una per il defunto e un paio per i parenti in festa! Pane e frutta vengono distribuiti tutto attorno alla tomba per ricordarci l’indissolubile legame che abbiamo con la terra, e, le famiglie economicamente più agiate, accompagnano la loro veglia con Mariaci o Trio musicali. Ed è cosi che si passa questa incredibile notte: ballando, mangiando e bevendo in compagnia di coloro che “solo nos adelantaron” “ci hanno solo anticipati un po’” come dicono qui!.
Ero tanto curiosa di entrare nel fondo di questa tradizione che ho iniziato a chiedere in giro dove fosse il posto in Messico più simbolico in cui passare il giorno dei morti. La risposta? Ovvia e immediata per tutti: “Patzquaro, in Michoachan! Se vuoi davvero conoscere la tradizione devi andare lì”. Non me lo sono fatto ripetere due volte, ho verificato nella mia guida dove si trovasse questo posto, ho cercato in internet tour che partissero per questa meta, e venerdì 31 notte ero su un autobus diretta a Michoacan.
E’ stata un’esperienza incredibile. Dopo aver conosciuto la città di Morelia nella notte siamo partiti per Patzquaro, il cuore del “día de los muertos”, e della corunda, una deliziosa palla di massa di mais simile ad un tamal (però che non è un tamal, e i nativi ci tengono a sottolinearlo), con dentro formaggio, carne o verdure e ricoperta di crema caldissima, tutto avvolto in foglie di mais o foglie dell’albero di banane, meraviglioso! Dalla cittadina di Patzquaro più o meno dalle 12 della notte in poi, si prende un traghetto per l’isola di Janitzio, un’isoletta al centro di un lago dedicata praticamente al turismo che invade la zona in questi soli due giorni. L’isola è una piccola collina con in cima una stata di 40 metri che rappresenta José María Morelos, uno dei più importanti personaggi dell’indipendenza Messicana. Lungo tutte le stradine che portano fin in cima ci sono centinai di casette colorate i cui proprietari durante questa notte lasciano le loro porte aperte al pubblico, e in cui si possono scrutare coloratissime donne che tutta la notte se la passano cucinando e vendendo pietanze calde e succulente!! Nell’isola di Janitzio c’è uno dei più bei cimiteri di incredibile magia che caratterizzano la tradizione dello stato di Michoacan: cimiteri piccoli e semplici, in cui le tombe spesso sono rappresentate solo da una croce di legno e delle iniziali del defunto; insomma uno di quei posti fantasma che il resto dell’anno sembrano dimenticati persino da Dio, ma che nella notte tra il 1 e il 2 novembre si trasformano in poesia, magia, emozioni.
Grazie alla luce delle candele che nell’oscurità illuminano i Chempasúchil, tutto si colora di un incredibile arancione, e rende l’atmosfera sacra e carica di una spiritualità preispanica che resiste nei secoli! Nonostante il numero sproporzionato di turisti per uno spazio così piccolo, il silenzio e il rispetto erano a dir poco commoventi. Fin a quel momento avevo visto solo la parte divertente, gioiosa e colorata del giorno dei morti in Messico, ma lì, in quei cimiteri surreali, all’improvviso mi ha invaso tutta la spiritualità, la profondità e la grandezza di questa cultura millenaria, nata molto prima dell’arrivo degli spagnoli, molto prima dell’invasione del cattolicesimo. I parenti dei defunti erano li, accasciati di fronte alle proprie tombe, pregando o semplicemente contemplando, con riservatezza e commozione; in piccole ceste di paglia offrivano tortillas, frutta e pane ai propri amati, poche cose, povere, ma simboliche e ancestrali per questa terra.
Perché la morte fa male, per come la si voglia vedere, per quanto colore e decorazioni ci vogliamo mettere intorno, quando una persona amata se ne va, mi spiega una vecchietta che mi cammina accanto, fa male, in qualsiasi cultura.
Il mio viaggio nel mondo dei morti è stato incredibile ed emozionante, cosi diverso dalla percezione occidentale della morte e nello stesso tempo cosi simile e umano nella sua rappresentazione ultima.
A volte penso che questa idea tutta messicana della morte fa si che qui la vita di un uomo perda totalmente il suo reale valore, che vivere o morire non faccia alcuna differenza, in una cultura come questa, dicono, le cifre dei morti per mano del narcotraffico, per femminicidio, o i desaparecidos, non fanno rumore, non muovono gli animi, non fanno male. Non so se sia cosi o no, senza dubbio l’idea messicana della morte ha a che fare anche con tutto questo, però forse vederci il lato festoso, i Mariaci, i balli, la tequila e i racconti di terrore che a poco a poco, cicchetto dopo cicchetto, si fanno sempre più coloriti e divertenti, forse ogni tanto, vederci solo la parte divertente, almeno per un giorno, fa bene un po’ a tutti.