“¿¿Porque, porque, porque nos asesinan si somos la esperanza de AmericaLatina??”. Da ormai due mesi vado a dormire con questo ritornello che mi gira nella testa: “Perché, perché, perché ci assassinano se siamo la speranza dell’America Latina???”. E’ il grido disperato degli studenti Messicani, e di tutta la società civile, indignata per gli ultimi inquietanti fatti avvenuti qui in Messico.
Assassinare studenti, far scomparire migliaia di persone “scomode”, mettere a tacere la protesta con la violenza e la paura ... una macabra abitudine dei governi in questa parte del mondo, una consuetudine che la popolazione sembra non essere più disposta ad accettare ... Ma cominciamo con la cronaca dei fatti.
Il 2 ottobre c’è stata qui in Aguascalientes, e in tutto il Paese, una marcia per ricordare il 2 ottobre del ’68, giorno in cui, durante una manifestazione a Città del Messico, la polizia mise fine alla protesta studentesca aprendo il fuoco sugli studenti, ammazzandone almeno 320, e facendo un numero indefinito di feriti e desaparecidos. E’ una delle manifestazioni più importanti del Paese, perché, quello di Tlatelolco, fu uno degli omicidi di stato più grandi della storia. Almeno fino a quello di Ayotzinapa che stiamo vivendo in questi giorni. Infatti, questo stesso giorno la popolazione messicana inizia ad informarsi sui i fatti avvenuti la notte tra il 26 e il 27 settembre, notte in cui ben 43 studenti della “Normale Rurale di Iguala”, nello Stato di Guerrero, sono scomparsi dopo essere stati attaccati della polizia.
Sembra che i ragazzi, di una delle Università più combattenti del Paese, con una lunga storia di lotte per il miglioramento della propria istruzione, quella notte si stessero organizzando per raccogliere fondi per la grande manifestazione del 2 di ottobre e per protestare contro il mal governo del proprio stato e contro il “narcostato” di cui sono spettatori i cittadini della città di Iguala, il cui sindaco, sposo della sorella di uno dei più grandi narcotrafficanti del cartello “Guerreros Unidos”, è chiaramente, e quasi esplicitamente, colluso con la mafia locale e nazionale. Sembra che, circa a mezzanotte, la polizia locale abbia iniziato un attacco armato contro gli studenti, aprendo il fuoco contro l’autobus in cui viaggiavano i ragazzi. Sei studenti sono stati ritrovati morti nella notte, e i loro corpi torturati (ad uno gli hanno letteralmente strappato via la faccia) e 43 sono stati dichiarati “scomparsi”.
Da questo giorno sono iniziate marce e protese in ogni lato del Paese, poco a poco la protesta si è fatta più grande, nella disperazione dei genitori, dei compagni, degli amici e di tutte le “Scuole Normali Rurali” del Paese. Al grido “VIVOS SE LOS LLEVARON, VIVOS LOS QUEREMOS” hanno iniziato a sommarsi sempre più persone, denunciando un crimine di stato e chiedendo la destituzione del presidente.
L’8 ottobre si è cosi organizzata la prima di tante manifestazioni e marce qui in Aguascalientes. Chiedono la restituzione in vita del 43 studenti scomparsi. Le manifestazioni non erano, in principio, cosi popolate e attive come quelle di molte altre città. Aguascalientes realmente è una città tranquilla, ha circa 500 anni e fu fondata da un gruppo di famiglie di Zacatecas e Queretaro che andavano alla ricerca di serenità e volevano scappare dai continui attacchi dei gruppi di indigeni guerriglieri che saccheggiavano i viaggiatori di tutto l’oro e l’argento che estraevano dalle miniere recentemente scoperte.
Trovandosi nel mezzo del famoso “Cammino dell’oro” tra Città del Messico e Zacatecas, il territorio di Aguascalientes era il posto ideale per poter riposare e riorganizzare le forze prima di riprendere il viaggio. E’ quindi una città senza una storia di resistenza, figlia di tutti quelli che volevano vivere tranquilli, non avere problemi. Non è una casualità che qui la maggior parte degli abitanti sono persone che hanno abbandonato grandi città per venire a vivere in una “città tranquilla”, la famosa “città dell’acqua chiara, del cielo chiaro, della buona terra e della gente buona, la “Svizzera del Messico” come adora definirla il sindaco, “dove non succede mai nulla, dove va sempre tutto bene”. Però qualcosa si muove, la gente comincia ad essere stanca dei 27 mila “desaparecidos” del Paese solo negli ultimi 8 anni, delle 229 donne e i 135 uomini scomparsi dall’inizio dell’anno solo in questo stato “tranquillo”, di un governo che non da risposte, di una giustizia che non funziona. C’è chi parla di terza Guerra Mondiale, quella contro l’umanità.
La maggior parte delle manifestazioni sono organizzate dalle “normaliste” di “Cañada Honda”, un gruppo di ragazze di una scuola “normale” di un comunità in provincia di Aguascalientes che hanno una forza e una capacità di organizzarsi davvero incredibili. Sono ragazze che vengono da famiglie povere, come tutti gli studenti delle normali (che sarebbero un po’ come i nostri vecchi istituti magistrali, che formano insegnanti); studiano per diventare maestri e andare ad insegnare nelle comunità sperdute dell’entro terra dei vari stati, tra i deserti del nord o nella profonda selva del sud. Sono figli di contadini, che lavorano i campi di mais e di fagioli, e che fanno un sacrificio incredibile per mandare i propri figli all’università, rinunciando così a braccia di lavoro necessarie per la terra, ma consapevoli che i propri figli lo fanno per migliorare le condizioni delle proprie comunità, per arrivare lì dove lo stato non vuole portare educazione ed istruzioni.
Sono arrabbiate, arrabbiatissime le ragazze della normale, non si fidano di nessuno, piangono durante le manifestazioni, le loro urla disperate fanno venire i brividi, avvisano all’ultimo momento dove saranno, e normalmente per messaggi di testo alle femministe o ad altri pochi collettivi, mai per i social network, perché già sanno che sono totalmente controllati dalla polizia, che le reprimerebbe immediatamente.
Durante le ricerche degli studenti, che per assurdo quasi da subito sono cominciate sotto terra invece che sopra la terra, sono state incontrate ben 19 fosse comuni di corpi, di chissà quanti desaparecidos solo dello stato di Guerrero. Dopo le prime settimane di manifestazioni i genitori dei ragazzi hanno cominciato a viaggiare nei vari stati del Paese per chiedere aiuto e per informare a tutti dell’accaduto. Il 5 Novembre il padre di uno dei desaparecidos è venuto qui ad Aguascalientes. E’ stata una testimonianza incredibile, dolorosa, forte, commuovente, a tratti insostenibile.
Ci ha parlate della disperazione di non veder tornare a casa il proprio figlio; della disperazione di un governo che non risponde alle tue domande; di chi tutti i giorni dice che tanto sicuramente sono già morti e i loro corpi non si troveranno mai; la disperazione di quando ti arriva una telefonata dal palazzo del Governo Federale che ti offre 100 mila pesos per smettere di fare rumore, per smettere di cercare, per rimanere tranquillo ... E lui che, piangendo, dice che suo figlio non vale 100 mila pesos, e che se il presidente crede questo, forse è perché secondo lui sua figlia vale tanto? Allora potrebbe andare a Los Pinos con 100 mila pesos e chiedere in cambio la figlia del presidente? Funziona cosi?
Il 5 Novembre è iniziata una “azione globale” per Ayotzinapa, in cui, finalmente, ha partecipato anche la UAA, l’Università Autonoma di Aguascalientes, che sembra sempre indifferente di fronte a questi atti, o più che altro che non ha nessuna esperienza di lotte studentesche.
Dopo 33 giorno di silenzio, il 7 novembre, il procuratore generale della repubblica ha indetto una conferenza stampa di un’ora nella quale dichiara che, durante le ricerche dei 43 studenti, sono stati catturati 74 narcotrafficanti del gruppo “Guerreros Unidos”, e che 3 di questi avrebbero dichiarato l’assassinio degli studenti. I prigionieri dichiarano che nella notte tra il 26 e il 27 settembre gli furono consegnate circa 40 persone (omettono pero di dire “da chi”), con l’ordine di ammazzarle e far sparire i resti. Arrivati nella discarica prestabilita, i sicari si sono occupati di ammazzare i ragazzi ancora vivi con un colpo di pistola, per poi bruciarli con tutti i vestiti per 15 ore e spegnere il fuoco solo alle 3 del pomeriggio del giorno dopo. Dopo di ché i resti sarebbero stati distrutti, fatti a pezzettini, rinchiusi in otto borse e buttati nel fiume vicino.
Tutto questo apparentemente ad opera “solo” dei narcotrafficanti senza la collaborazione della polizia come, invece, denuncia la popolazione e Amnisty Internacional, che sottolinea la grave omissione da parte del procuratore nel non evidenziare la partecipazione dello stato a questo terribile crimine. A consegnare gli studenti ai narcotrafficanti sarebbe stata infatti la polizia, ad ordine del sindaco di Iguala. Insomma, il più grande esempio di narcostato dei nostri tempi, troppo scottante per il procuratore che, chiudendo la sua conferenza con un “Ya me cansé” (Basta, mi sono stancato), di fronte alle domande dei giornalisti, ha prodotto l’ultimo grido di ira della società che, in dieci minuti, ha fatto il giro del mondo su Twitter con frasi tipo “Yo tambien # ya me cansé del nercoestato”; “yo no me cansé de buscar justicia”, e cose dei genere. Secondo la ricostruzione della procura, i resti dei ragazzi sarebbero ad un livello di incenerimento tale che è quasi impossibile estrapolare il DNA delle vittime, cosi che si è deciso di mandarli in un laboratorio in Austria, che sembra sia l’unico capace, forse, di scoprire la verità. La reazione dell’opinione pubblica e delle famiglie dei desaparecidos è stata di negazione assoluta.
Sembra, infatti, che il governo abbia armato tutto questo per lavarsene le mani, dare la colpa ai narcotrafficanti, non assumersi le proprie responsabilità e permettere al presidente Peña Nieto di partire il giorno successivo per il suo viaggio programmato in Cina. I genitori continuano ad urlare forte che vogliono le prove, che è stato lo stato; che non si può arrivare dopo 33 giorni con una borsa piena di cenere e dire “Questi sono i vostri figli” e pretendere che tutto finisca qui; tutto questo è inaccettabile.
Le manifestazioni a Città del Messico si sono moltiplicate e la notte tra l’8 e il 9 Novembre, durante una protesta contro il “Palazzo Nazionale” è stato incendiato il grande portone di ingresso. Anche se dai vari video su internet sembra chiaro che i colpevoli siano infiltrarti della polizia con il volto coperto, questo atto è stato sufficiente per permettere al presidente di dichiarare che le manifestazioni sono violente e bisogna fermarle. Qui, la ricerca della giustizia si traduce con “atti terroristici!”.
Credo che questa storia non si fermerà qui, o forse spero, questo Paese ha un bisogno disperato di giustizia e non si può più stare immobili ad osservare come la corruzione e la impunità continuino indisturbate.
L’8 novembre ho partecipato ad una giunta di tutti i collettivi di Aguascalientes che hanno deciso di riunirsi per organizzare azioni comuni e chiedere giustizia per i 43 studenti. In questa riunione si è pensato di partire da quanto accaduto a Ayotzinapa per rivendicare anche tutti i desaparecidos di Aguascalientes, denunciare tutti i casi di femminicidio della città e fare un’opera di informazione che possa rendere la gente cosciente e consapevole di quello che sta accadendo. Azione di informazione tanto interna ai collettivi quanto esterna. Cosi si è deciso che inizieremo con una serie di “talleres di formazione” interni ai collettivi, che poi pensiamo di trasmettere alle università, alle preparatorie e alle secondarie. Inizieremo con il “taller” di “Risoluzione pacifica dei conflitti”, per continuare le prossime settimane con altre attività tra cui il “taller” di “Azione diretta non violenta” e quello di “formazione politica”.
Quando hanno iniziato a fare le proposte dei possibili posti in cui si potrebbero portare i “talleres”, io ho proposto il “Centro Reffo”. E’ vero che nella nostra colonia la popolazione ha mille problematiche diverse, però è anche vero che come associazione della società civile non possiamo ignorare quello che sta accadendo, abbiamo il dovere di informare la gente su quello che succede in città e in generale nel Paese, no?
E poi sorprendentemente ho scoperto di avere un grande alleato nella mia battaglia, il padre Mario! Dopo una chiacchierata sui desaparecidos e sul dramma che lui ha vissuto in Cile durante la dittatura, mi ha ufficialmente dato il permesso di utilizzare le bacheche della parrocchia per informare, o meglio per “disinformare” la gente sui fatti di Ayotzinapa, “vediamo se riesci a svegliare un po’ questa gente”, dice lui. Io non credo che la gente qui abbia bisogno di essere svegliata, credo solo che abbia bisogno di scoprire che ci sono altri modi di vedere le cose, altri punti di vista, alternativi, che potrebbero spingerci ad uscire dal nostro egoistico dolore, per renderci conto che, a volte, condividere quello degli altri ci fa sentire meno soli, più forti, più uniti, e che ci da speranza … La gente non vuole sapere per paura, non lotta per paura, ma la paura si elimina solo stando tutti uniti: “Si no marchamos juntos, nos mataran por separados”! (Se non marciamo tutti insieme, ci ammazzeranno separatamente”.
Poi, il 20 novembre, l’incredibile sorpresa, Aguascalientes si alza e scende in piazza, tutta, più di 3 mila persone in marcia, le “Normaliste”, tutte le Università, la società civile, i collettivi, le persone, i bambini, la gente, la città, “TUTTI A CHIEDERE GIUSTIZIA!” Perché “Ya me canse del narcoestato”, “Ya me canse de la corrupción”, “Ya me canse de la injusticia”!!!
Il Prossimo appuntamento in piazza sarà il primo dicembre, giorno in cui il presidente presenterà il suo discorso annuale, e la popolazione scenderà di nuovo in piazza a chiedere le sue dimissioni.
Nel frattempo, sabato scorso c’è stata la prima “Assemblea Cittadina” qui in Aguascalientes, gente comune, studenti preoccupati per il proprio futuro, genitori preoccupati per i propri figli, maestri preoccupati per i propri studenti, gente seduta in piazza a discutere, a scambiare opinioni, a fare proposte di alternative e azioni. Perché è questo quello di cui ha bisogno il Messico di oggi, dopo la protesta e le marce, indignarsi ormai non basta più, è necessario agire, reagire!