Di Davide Pavia. Novembre è passato velocemente, nemmeno me ne sono accorto. Vi ricadevano i venticinque anni dall'inagugurazione del CEIPAR, un'occasione di festa in cui drammatizzare la biografia della santa, ballare e cantare. I preparativi ci hanno concesso una tregua dalla solita routine del centro, così come l'attesa formazione ci ha portati per tre giorni in riva al Napo, maniche corte e infradito. Rilassamento a parte, è stato bello ritrovarsi in cerchio, condividendo quanto di duro e di migliore abbiamo conosciuto finora, forti dell'abitudine maturata in tanti mesi di servizio.
Per quanto sia convinto dell'impossibilità di paragonarsi all'altro, riconosco di avere avuto fortuna sotto diversi aspetti, primo su tutti il lavoro. Chi lo dirige e chi vi partecipa insieme a me, persone che da sempre ci hanno accompagnato, quasi accudito, sgombrando il cammino da impedimenti che non fossero i nostri limiti e le nostre capacità individuali, unici veri ostacoli di questo servizio civile. Di mio c'è da dire che scelsi il progetto per esclusione, partendo così senza alcuna aspettativa particolare, in uno stato d'animo sicuramente più incline all'adattamento e all'apprezzamento, anche considerando la frequenza dei cambiamenti che intercorrono tra i dettagli forniti dal bando e la realtà dei fatti, spesso peggiori.
La stessa Quito è una risorsa inesauribile di svago, una metropoli sconfinata il cui contrasto con la natura circostante valorizza ogni escursione, anche a distanza di pochi chilometri. Venendo da una capitale altrettanto caotica come Roma, l'impatto con il traffico, l'inquinamento e le svariate negatività della metropoli è stato relativo, immediatamente compensato dalla presenza dell'immensa e onnipresente montagna, dove lo sguardo può riposare. Viviamo dove molti fanno scalo, e questo ci risparmia ore di viaggio, sempre che non si decida di rimanere, dedicando il fine settimana alla scoperta di chissà quali altri posti.
Insieme a me convivono persone eccezionali, specchi dell'esperienza e fonti di stimolo, conforto e coraggio: sarebbero una casa indipendentemente dall'appartamento che ci tocca, comunque bello e comodo anch’esso. Pensare di andare altrettanto d'accordo con tutti è una bella utopia, mi accontento di continuare a sentirmi a mio agio, senza grosse pretese. Infine ringrazio voi, Paolo e Matteo, di tutto l'impegno dimostrato in un lavoro complesso e delicato come il vostro; sebbene non ne conosca a fondo l'operato, mi basta un minuto nei vostri panni per comprendere e apprezzare quanto abbiate fatto per noi in questi mesi.
Siamo quasi agli sgoccioli, e la voglia di tornare non si è mai esaurita, nemmeno ora che i giorni scivolano via come se nulla fosse, nemmeno adesso che i bambini ti rincorrono. La vera nostalgia di tutto questo salirà solo al ritorno, e il vuoto da riempire sarà enorme, lo so già; eppure, non c'è niente da fare, bisogna concludere certe esperienze per coronarle come si deve. L'unica vera differenza con gli stessi ricordi italiani è che in Italia tornerò senz'altro, qui chissà, e già si preannunciano lacrime amare. Ma ancora manca tempo e non c'è traccia di malinconia, abbiamo tante cose da fare. Parafrasando Garcia Marquez, varrà la pena di sorridere di tutto il bello che è successo in questi mesi, piuttosto che rimpiangerne la conclusione.