Di Alice Schincaglia, Ibarra (Ecuador). Nel momento in cui scrivo queste parole l'Ecuador sta attraversando una fase politica e sociale che, sebbene da tempo preannunciata, ha suscitato la preoccupazione delle persone locali e di coloro che fanno parte della mia vita da ormai sei mesi. Nonostante la mia esperienza di Servizio Civile Universale in una zona di frontiera al confine con la Colombia e il ruolo attuale come Corpo Civile di Pace a Ibarra, gli eventi piú recenti hanno agito come un’inaspettata presa di coscienza. Come se in qualche modo mi avessero all’improvviso palesato, nel giro di pochi pensieri, una situazione che sapevo esistere ma di cui non avevo realmente capito la portata e la complessità.
Una serie di eventi legati al tema della sicurezza nazionale e alla crescente presenza di gruppi criminali organizzati ha portato il governo ecuadoriano a dichiarare lo Stato di Eccezione e a proclamare un conflitto armato interno. Questa situazione ha aumentato i nostri livelli di allerta nella vita quotidiana e sul lavoro, in particolar modo nei procedimenti di regolarizzazione migratoria che gestisco come assistente legale per il Consejo Noruego para
Refugiados presso ENGIM. La situazione ha evidenziato come queste misure influenzano la popolazione migrante in transito o residente in Ecuador, un Paese che ha visto importanti flussi migratori negli ultimi trent'anni, principalmente da Colombia e Venezuela.
La dichiarazione del conflitto armato interno, insieme all'istituzione dello "stato di eccezione", ha portato a un dispiegamento di militari per le strade, con obiettivi di natura militare. Nonostante le autorità cercassero di garantire la sicurezza pubblica, le misure di sicurezza straordinarie hanno generato un clima di sospetto e ostilità verso i migranti, aggravando la vulnerabilità di coloro che si trovano in situazione irregolare. Uno dei primi effetti che ho potuto osservare nel lavoro è stato l'aumento della percezione del rischio da parte dei migranti stessi. In più occasioni mi è stato chiesto se fosse vero che il governo intendesse deportare tutti i venezuelani a causa della crisi attuale. Il dispiegamento militare nelle zone più povere del paese ha rivelato in alcune occasioni la natura discriminatoria delle
operazioni, spesso basate su pregiudizi verso le comunità che vivono in queste aree. Inoltre, il coprifuoco ha aumentato il rischio per le persone senza fissa dimora che possono essere detenute se si trovano per strada al di fuori degli orari consentiti. I migranti in transito costituiscono una grande percentuale di questa popolazione, poiché raramente hanno risorse economiche sufficienti e, per definizione, non hanno una residenza fissa.
L'obbligo di presentare gli antecedenti penali alle frontiere terrestri ha favorito l'attività dei "tramitadores" nella parte colombiana di Ipiales, che per gestire la procedura chiedono ingenti somme di denaro. Un meccanismo simile si osserva nelle famose "trochas", passaggi irregolari al confine gestiti dai "coyotes", trafficanti che, in cambio di denaro, accompagnano le persone oltre il confine. L'aumento dei controlli alle frontiere ha sempre portato a un aumento dei passaggi irregolari, pratica che espone le persone al rischio di violenza, traffico e tratta. L'attuazione di queste misure corre il rischio di aprire o aggravare falle che, invece di promuovere la legalità e la sicurezza, generano illegalità e compromettono quei diritti umani che si promette di proteggere.
Infine, analizzando le tendenze osservate nel nostro lavoro, emerge un aumento dei casi di richiesta di protezione interna da parte di cittadini ecuadoriani residenti nel paese, costretti a lasciare le proprie case a causa dell'aumento della violenza in alcune aree. Sebbene non riconosciuto legalmente dallo stato ecuadoriano, come avviene in Colombia, in un momento come questo lo status di "sfollato interno" dovrebbe essere garantito.
È cruciale riconoscere che la risposta del governo, sebbene miri a ripristinare l'ordine, presenta anche significative sfide in termini di diritti umani e in quanto alla "libre movilidad humana", prevista dalla Costituzione dell'Ecuador. Inoltre, la situazione attuale ha evidenziato l'urgente necessità di affrontare le radici profonde della violenza e riconsiderare politiche migratorie che non solo contengano, ma proteggano anche i diritti di tutti gli individui coinvolti. Riflettendo sul tempo passato in Ecuador, ho potuto osservare direttamente l'urgente necessità di politiche migratorie più inclusive e di un approccio integrato per affrontare la violenza e l'insicurezza. Il contesto professionale e combattivo in cui sto lavorando mi ha fortemente motivata a livello lavorativo e personale. Sento che ciò che mi ha lasciato è la possibilità di affrontare il tema della migrazione da un punto di vista critico che consideri contemporaneamente molteplici prospettive, dai diritti umani alla dimensione legale e all'impatto sociale.