Di Veronica Acco, Quito (Ecuador). Sono ormai passati due mesi e mezzo dall’inizio di quest'avventura. Sono partita senza aspettative, senza sapere cosa avrei trovato dall’altra parte dell’oceano. Da anni bramavo di fare questa esperienza, ma non arrivava mai il momento giusto o che sentissi più adeguato per partire. Da anni sempre la stessa domanda: sono pronta per partire? Sono pronta per trascorrere un tempo così lungo distante dai miei cari e dalla mia casa? Sono pronta ad incontrare e chissà, abbracciare, un’altra cultura completamente diversa dalla mia? Domande che per molto tempo sono rimaste senza risposta, fino a che, subito prima di laurearmi, ho deciso che quello sarebbe stato il momento giusto per iscrivermi al bando di Servizio Civile Universale.
Mi trovavo al museo di Storia Naturale di Londra con la mia migliore amica quando ricevetti la fatidica e tanto temuta chiamata. Ricordo esattamente quel momento: ero seduta e stavo bevendo il mio consueto caffè nel bar del museo, la luce fioca di quel giorno filtrava dalle finestre colorate, illuminando di vivacità solenne la sala. “Ciao Veronica, sei risultata idonea per partire”. Queste le uniche parole che ricordo, il resto buio totale, la mia mente si riempie di vuoto. Un abbraccio carico di pianto emozionato mi avvolge. “Lo sapevo che saresti partita, me lo sentivo. Sono troppo fiera di te, te lo meriti”, mi sussurra all’orecchio Giada. Le mie speranze in un attimo si trasformano in realtà. Era tutto vero, sarei partita per l’Ecuador, ma lo avrei realizzato solo pochi mesi dopo, toccando per la prima volta il suolo ecuadoriano.
I mesi successivi, quelli del pre-partenza, sarebbero stati duri da affrontare, la mia mente sarebbe stata affollata e stravolta dai soliti mille pensieri: ce la farò a superare la mancanza e la nostalgia di Casa, dei miei amici, della mia famiglia? Come cambieranno le mie abitudini? Riuscirò a superare le sfide comportate dall’uscire dalla propria comfort zone? Come mi troverò con i miei nuovi compagni di avventura? La volontà di partire superava di gran lunga le mie paure. Non mi sarei fatta sopraffare.
Il giorno in cui siamo arrivati a Quito, la luce era così forte che non riuscivo nemmeno a vedere oltre i miei piedi. All’uscita, una banda di musicisti con le loro chitarre sembrava suonasse solo per noi. Partiti alla volta della città, con la vista e l’abbraccio caloroso delle Ande in lontananza, mi rendo conto finalmente che da qui inizia la mia avventura, da qui ha inizio il mio anno di Servizio Civile.
Una delle cose che ho imparato nell’ancora poco tempo che ho trascorso qui è che la Natura non ci appartiene, non è di nessuno se non di sé stessa, per questo, come ospiti quali siamo, va rispettata, apprezzata, ringraziata, abbracciata e amata. Ne ho avuto la conferma poche settimane fa, partecipando ad un rito di ringraziamento alla Pachamama, che in quechua significa ‘Madre Terra‘, una divinità venerata dagli Inca e da altri popoli andini. Questo rito, presieduto da persone appartenenti ad una comunità indigena, chiedeva di guardare dentro noi stessi, ascoltarsi, prendersi un momento per connettersi con ciò che da sempre abbiamo attorno a noi e che poco apprezziamo o riusciamo a vedere realmente: “No nos partenece nada, todo es un regalo. Agradecemos a nuestra Pachamama por el viento, el fuego, el agua y la tierra”. Tutto è un regalo, nulla ci appartiene. Ringraziamo e siamo riconoscenti per ciò che abbiamo, per ciò che ci regala ogni giorno Madre Natura: il vento, il fuoco, l’acqua, la terra. Cose semplicemente essenziali che diamo per scontate, troppo spesso, troppe volte, con troppo poco rispetto e comprensione. Siamo inconsapevoli di far parte di un unico grande universo, che va protetto e amato.
Tornando da Tena, verso Quito, dopo un bellissimo weekend passato con altri volontari che stanno svolgendo lì il loro Servizio Civile, mentre attraversavamo in bus strade impervie nel mezzo della Foresta Amazzonica, scrivo sulle note del telefono: “Mi sono resa ancora più conto di quanto io sia fortunata ad essere qui e poter vivere tutte queste esperienze meravigliose. Sono più che grata. Vedere tutto questo verde mi ha trasmesso tranquillità, mi ha fatto riflettere su ciò che sono e su ciò che sto vivendo. Sono contenta di me. Di dove sono, di dove sono arrivata fino ad ora. Delle mie conquiste personali, degli ostacoli superati e che devo ancora superare e delle opportunità che voglio cogliere dimenticandomi delle mie paure. Sono fiera di me. Voglio sapere sempre più, voglio imparare tutto, voglio conoscere tutto. Cerco di cogliere il più che posso da ogni persona che incontro lungo il cammino. Accetto ciò che sono, cercando di ascoltare e ascoltarmi. Sono felice e sempre grata. Mi voglio bene”.
Lolla e Sara sono appena rientrate a casa con in spalla una chitarra. Sono ancora alle prime armi, hanno iniziato da poco un corso. Iniziano a strimpellare sedute sul divano. Io, Olly, Artu e Nico ci guardiamo con occhi preoccupa(n)ti: sappiamo già che questo sarà l’inizio della fine, accordi “scordati” inizieranno a riempirci le orecchie, i silenzi si trasformeranno in voci comuni, che si uniranno in un unico canto. Non è passato molto tempo dall’inizio di questo straordinario viaggio, ma non vedo già l’ora di ascoltare la sinfonia che mi accompagnerà lungo il tragitto ancora da percorrere. Una sinfonia che diverrà la colonna sonora composta da tutte le nuove caras che incontrerò e dalla naturalezza che scoprirò.