Di Antonio Facendola: La Sierra di Medellin, all’occhio del visitatore pigro (o impreparato!), si presenta come un imponente agglomerato di edifici arrampicati a forza sul dorso scosceso di una delle colline che cingono il centro ricco della città. Questa è la parziale visione di chi, al momento del suo primo incontro col barrio, non è in grado di scattare un’istantanea che sia capace di contenere in sé il groviglio di vicende sociali e umane delle quali quell’imponente agglomerato di edifici è solo l’espressione statica, un’ambientazione particolare.
Ciò che non si è in grado di cogliere immediatamente risuona prepotentemente invece il dì seguente, quando, accigliati e ancora un po’ tramortiti dal lungo viaggio transoceanico, ci si presenta ufficialmente alla comunità, nel nostro caso a conclusione della messa domenicale operata da Carmelo Prestipino, padre giuseppino della parrocchia di Santa Maria della Sierra. Sin da subito ci appare evidente l’importanza di giustificare la nostra presenza agli occhi della popolazione locale ricorrendo, per vie traverse, al tema della fede, anche se di fatto – mi pare moralmente corretto precisarlo – viene mostrato assoluto rispetto per la nostra condizione di volontari laici.
Il nostro prudente (impacciato) intervento oratorio, suffragato tempestivamente dalle parole di Padre Ramiro Moreno, ci ha così permesso di stabilire un primo prezioso contatto con la gente che vive in questa zona della città, fino a quel momento apparsa indifferente alla nostra presenza.
Le attività specifiche che teoricamente e complessivamente configurano il progetto “Insieme per crescere” richiedono una preliminare pianificazione in loco tutt’ora in atto. Pianificazione che a sua volta richiede un propedeutico lavoro di diretta osservazione delle problematiche reali, già meticolosamente descritte nella scheda progetto redatta da ENGIM, al fine di prestare maggiore attenzione alle questioni che paiono prioritarie o, più ancora, al fine di ricalibrare opportunamente l’azione progettuale modellandola a partire dalle competenze e capacità del volontario.
Diretta osservazione e conseguente analisi del contesto specifico (da parte dei volontari) sono attività che personalmente reputo fondamentali e quindi imprescindibili. La complessa situazione sociale in continua evoluzione che vive il quartiere e più ancora il barrio intero, impone a tutti gl’operatori sociali ivi impegnati una costante attività di monitoraggio delle criticità osservabili. Al momento attuale sembra che gli atti di violenza relativi alla guerra tra bande di quartiere abbiano cessato d’esistere per merito di una tregua stipulata solo un anno fa. Non si spara più, anche se il rischio di recrudescenze non può ancora dirsi scongiurato del tutto.
In tal senso il lavoro da compiere al fine di assicurare una pace duratura è ancora tanto. Stimolare la comunità locale a credere nei benefici generati da uno stato di quiete pubblica e di pace vera e propria può essere un punto di partenza valido anche se di difficile attuazione. L’opera di ricostruzione del tessuto sociale, irreparabilmente compromesso a seguito della sanguinaria guerra tra bande, anche se lentamente, procede grazie al lavoro degli attori implicati in tale delicato processo.
Sono infatti svariati i soggetti che, a diversi livelli, si stanno impegnando in questa difficile “missione”. I Giuseppini del Murialdo su tutti, già guide spirituali della comunità dal 2002, negli anni successivi al conflitto hanno facilitato il nascere di una fruttuosa partnership, tutt’ora esistente, con il comune di Medellin. Nello specifico è stata costituita una tavola rotonda alla quale siedono professionisti provenienti da settori differenti ma tutti uniti da uno scopo comune: favorire l’aumento del benessere (sociale, culturale, economico) della popolazione della Sierra, contrastare l’emarginazione sociale del barrio, da sempre considerato “periferia”.
Un importante passo in avanti in tal senso è stato mosso dall’azienda comunale che gestisce il trasporto pubblico (Metro); si tratta della costruzione di un nuovo tratto di metropolitana che collegherà il barrio direttamente al centro della città, puntando ovviamente sull’economicità del servizio e sulla possibilità di coprire con lo stesso titolo di viaggio una distanza superiore rispetto a quella garantita dall’impresa di bus locale. In soldoni: al momento attuale il costo del servizio di trasporto su gomma gestito da una cooperativa costa 1800 COP ed è valido per una sola corsa. Di contro Metro promette di fissare a 1000 COP il prezzo del biglietto; biglietto che, come ho già accennato, può essere utilizzato su tutto il circuito metropolitano.
L’opera, la cui realizzazione è già cominciata, verrà completata nel giro di un anno e i benefici al momento (e sulla carta) sembrano essere innumerevoli, sia dal punto di vista economico, costituendo a lungo termine una fonte di risparmio per tutti gli utenti che ne vogliano usufruire, sia dal punto di vista sociale, dal momento che permetterebbe di abbattere quella significativa distanza, fisica e appunto sociale, di cui risente il barrio e che ancora lo condanna, nell’immaginario collettivo, alla condizione di “periferia”. Periferia culturale oltretutto, dal momento che l’eclettica città antioqueña sembra poter offrire, almeno nelle sue zone centrali, un arsenale di possibilità diverse: parchi, musei, eventi locali ed internazionali, servizi, arte libera … In una parola Vita.
Ciò nonostante all’interno della comunità della Sierra pare esista un movimento che surrettiziamente si oppone alla realizzazione di quest’opera e che si fa chiamare “bloque metro”. Il fenomeno, benché poco chiaro e forse insondabile, non può né dovrebbe essere ignorato. Suppongo personalmente che il problema principale derivi dal disagio economico che subirebbero le due attuali cooperative di autobus che al momento detengono il monopolio del servizio in questa zona della città.
Sul fronte dell’impegno educativo si sta tentando di realizzare, in occasione del dia de la niñez y del idioma (giorno nazionale dell’infanzia e della lingua), un evento massivo che coinvolgerà tutte le istituzioni educative della zona. Nello specifico si tratta di una sfilata carnevalesca che avrà luogo il prossimo 25 di Aprile nelle strade della “comuna 8” , nell’ambito della quale si mira a celebrare i diritti fondamentali dei bambini coinvolgendoli direttamente in attività musicali, ricreative e propriamente ludiche.
I volontari ENGIM, Antonino Facendola (redattore del presente report) e Matteo Campa, in seno a quest’iniziativa contano di formare un gruppo di giovani percussionisti scelti fra i ragazzi che frequentano la “Escuela empresarial”. L’idea è quella di costituire una piccola banda di 15 elementi che utilizzerà strumenti musicali costruiti con materiale di riciclo, legando in tal modo all’iniziativa l’importantissimo tema del rispetto per l’ambiente.
L’educazione ambientale gioca un ruolo cruciale nel processo di sviluppo sociale e culturale di una qualsiasi comunità. Ce lo dice Joaquin, cofondatore della “Corporación Camposanto” ed ex membro di una banda armata di quartiere operante nel suo barrio fino alla fine dei ’90. Ci racconta un pezzo di storia della città cominciando dal disastro di Villatina, evento drammatico in cui perdono la vita più di 500 persone e che lascia in eredità alla collina sulla quale oggi sorge l’organizzazione, l’appellativo di “Camposanto” , intuitivamente ciò che per noi è “cimitero”.
In sintesi: il 27 settembre 1987 alle 2.40 del pomeriggio, un’esplosione in cima al pan de azucar, collina sulla quale sorge il barrio Villa Tina provoca una gigantesca frana che seppellisce letteralmente più di settanta edifici e oltre 500 persone. Le cause dell’esplosione che ha generato la valanga ancora oggi non sono chiare. C’è chi sostiene che qualche giorno prima del fatto, in cima alla collina si trovasse un gruppo di membri del M-19 (Movimiento 19 de Abril), organizzazione di guerriglia, rivoluzionaria, operante in Colombia in quegl’anni, e che stessero rimuovendo del terriccio come nell’intento di piazzare cariche esplosive; chi invece accetta le ufficiali teorie degli esperti che bollano l’accaduto come disastro naturale, cioè dovuto a una serie di fattori contingenti e alla già nota instabilità geologica della zona. Joaquin rimane orfano; perde entrambi i genitori e tre fratelli.
Così ci racconta della sua scelta di imbracciare il fucile aderendo, a soli 14 anni, ad una banda di quartiere, delle difficoltà, del suo dolore e della rabbia verso lo stato, colpevole, secondo lui, di averlo lasciato da solo, di non aver fatto nulla per accertare la verità … Verità che, dice Joaquin, giace ancora sepolta sotto 20.000 metri cubi di terra argillosa! E io non posso che credergli: solo un paio di settimane fa (27 anni dopo l’accaduto) il ritrovamento di tre vittime della frana, ancora in abiti domenicali.
Oggi Joaquin, mentre ci guida all’interno dell’eco-parco, tra impianti di compostaggio, laboratori per la differenziata e fitta vegetazione, parla di quanto sia cambiata la sua vita da quel 27 settembre e, parallelamente, di come sono cambiate le cose su questa collina, anni fa considerata discarica a cielo aperto e divenuta col tempo cerro de valores (collina di valori).
Un’importante attività di collaborazione è quella che i volontari hanno intrapreso con uno dei gruppi giovanili del barrio e che opera al fianco della parrocchia di Santa Maria de la Sierra, ovvero Codigo 8. Una ventina di giovani di età compresa tra i 12 e i 24 che si fa portavoce di bisogni, desideri, ideali, volontà, speranze. È la testimonianza migliore dell’immenso sforzo che una parte del barrio sta compiendo nel tentativo di cambiare rotta. Il gruppo, che si riunisce almeno due volte a settimana nei locali messi a disposizione dai giuseppini e precisamente nella biblioteca parrocchiale Nadino, ha da poco presentato una richiesta di fondi al comune di Medellin per la realizzazione di un laboratorio musicale e l’acquisto di strumentazione tecnica.
In tale stimolante contesto si sta pianificando, d’accordo coi giovani di Codigo 8”, una serie di incontri formativi sui temi della cittadinanza attiva, dello sviluppo, della pace, del senso di comunità, della sostenibilità ambientale. Codigo 8 nasce nel 2011 dall’idea di contrastare, inizialmente attraverso l’animazione sociale, la sofferenza generata dalla guerra intestina tra bande; guerra che da una parte ha stravolto la famiglia rivoluzionandone l’organizzazione interna, mentre dall’altra ha mortificato il bacino di valori cui tali famiglie attingono nell’educare i propri figli. Sempre più spesso negli ultimi giorni mi è capitato di ascoltare parole d’elogio alla violenza proferite da giovani, molti dei quali non ancora dodicenni. Ho ragione di credere che il problema in esame abbia assunto dimensioni endemiche oltreché tragiche sfumature.
In questa triste località del pensiero mi chiedo in che modo possa l’educazione contrastare efficacemente questa tendenza diabolica, in che modo noi educatori volontari che non disponiamo dei rudimenti necessari, di strumenti pedagogici validi se non di buon senso, mi chiedo in che modo possiamo noi incidere in questo percorso che la comunità della Sierra ha timidamente intrapreso.
In che modo è possibile favorire la cultura della pace in un luogo dove questa è sempre e da sempre percepita come semplice assenza di conflitto, come interstizio temporale che corre tra una guerra e l’altra, tra una morte e l’altra, se viene sentita come il silenzio che va dall’ultimo sparo di un conflitto concluso e il primo botto di un conflitto a venire?