Di Elena Bergamaschi, Medellín (Colombia). Ogni martedì io e Alessandro, un altro ragazzo volontario, facciamo attività presso “Il Faro”, un barrio (quartiere) a una mezz'oretta da casa. Ogni mattina prima di partire faccio un sospirone per affrontare il viaggio: dobbiamo scendere dal barrio dove abitiamo “La Sierra” col metrocable (funivia) fino alla stazione metro, dopo 5 stazioni prendere un altro "metrocable" che ci porta in alto fino alla stazione “trece de noviembre” (tredici di novembre). Poi ci aspetta una salita di 10 minuti a piedi, dove letteralmente sfidiamo la gravità, la pendenza è davvero tanta.
Qui ancora alcune strade non sono asfaltate, infatti c’è ancora fango e sabbia. La “basura” (spazzatura) non ha un punto specifico di raccolta, ma i rifiuti sono ovunque, non esistono cestini, non c’è la raccolta differenziata, a volte sentiamo odore di plastica bruciata. I cani rovistano sempre in cerca di cibo spargendo tutto per strada e quando piove la pioggia si porta dietro tutto. Saliamo e facciamo un pit-stop alla nostra “tiendita” (caffè/bar) di fiducia dove Alessandro ordina sempre un “tinto” (caffè colombiano).
Lì vicino, c’è la casa di Juan, un bimbo che l’ultima volta che l’ho visto aveva una “quema” (bruciatura) molto grossa, non la stava medicando ed era brutta, così ho chiesto il permesso alla madre di andargli a comprare una pomata. Lei acconsente, andiamo nella “drogueria” (farmacia) lì accanto, la signora mi consegna la pomata e ci lascia dicendo “Grazie a Dio niño, che ti sei bruciato con l’olio e non con qualcos’altro”. Più sopra c’è la casa di Dora, una “bambina più grande speciale” di circa trenta-quaranta anni (così chiamata da Rigoberto il nostro referente). Lei è una donna dolce, sorridente, educata e gentile. Ci chiede sempre di portarle dei vestiti che non utilizziamo per lei o per venderli. Alessandro infatti le ha portato una busta con maglie e pantaloni. La chiamiamo e lei, con fatica, esce dalla sua casa, con un bellissimo pantalone beige elegante regalato da Maria Dolores un’altra volontaria, e ringraziandoci con un gran sorriso e il solito “Que Dios te bendiga” ci dice che ci vediamo dopo.
Continuiamo a salire fino a raggiungere la scuola. Da qui le macchine non ci passano più, solo scale e salite ripide. La scuola è piccola ma come sempre colorata, ha molti murales veramente belli. Salutiamo i bambini e i “profe” (insegnanti) che ci conoscono e continuiamo su per un’altra scala. Finalmente arriviamo al “comedor” (mensa), nostro primo luogo di servizio della giornata. Qui incontriamo Rigoberto, il nostro referente. Rigoberto è un signore sulla sessantina con una fede immensa che lo guida. E’ il punto di riferimento della mensa e anche del quartiere. Presta servizio da moltissimi anni: 3 volte alla settimana presso il comedor e nel fine settimana segue le catechesi parrocchiali. Lui non abita lì, ma quasi ogni giorno con costanza, amore e fede fa quella strada per aprire le porte del comedor ai bambini. E’ un uomo di grande cuore, compassione, intelligenza, cultura e soprattutto curiosità. Oltre a lui a gestire la mensa c’è Fanny, una ragazza giovane con uno spirito forte, indipendente, spiritosa e a volte tagliente ma se sai come prenderla davvero simpatica. Anche lei, come Rigo, da anni è volontaria e tutte le mattine cucina il pasto (molto spesso l’unico) per i bimbi della zona.
Oltre a loro ci sono sempre le signore, le cuoche, senza di loro la mensa non esisterebbe. Ogni mattina veniamo accolti da Rigo e dalle signore con sorrisi e benedizioni, con una cioccolata “in agua” (in acqua) e una crocchetta fritta di Rigoberto. Passiamo poi le prime ore dove prepariamo la stanza per accogliere i bambini, aiutiamo in cucina le signore, se ci sono bimbi li aiutiamo a fare i compiti o semplicemente passiamo tempo con loro e per la maggior parte del tempo io ed Alessandro cerchiamo di esaurire la curiosità di Rigo rispondendo alle sue domande e parlando di tutto ciò che ci viene in mente. E’ incredibile come lui non abbia mai una risposta scontata o già sentita e di come riesca andare in profondità delle cose, sviscerarle sempre con grande cura, rispetto e attenzione all’altra persona. Arriva il momento del pasto e tutti vanno ai propri posti: Rigo si prepara con la sua radiolina altoparlante per guidare i bambini e fare la sua orazione doverosa. Le Signore intanto preparano tutti i piatti per i bimbi. Io e Ale ci alterniamo tra aiuto in cucina e lavamani. I bambini dentro il comedor sanno che hanno un certo rituale: arrivare lavati e puliti (Rigo ci tiene molto), mettersi in fila per lavarsi le mani, l’orazione prima di mangiare, finire tutto ciò che hai nel piatto e ringraziare sempre con un sorriso o un abbraccio prima di andare.
Dopo i bimbi è il nostro turno: mangiamo insieme alle Signore, a Fanny e a Rigo parlando della giornata o del più e del meno. Dopo aver messo a posto la mensa, ci dirigiamo verso la Biblioteca “escuelita de paz”, secondo luogo di servizio della giornata. E’ una casa azzurra, piccolina ma accogliente, sopra la montagna. La vista da qui è pazzesca. Per arrivarci passiamo attraverso il barrio fermandoci casa per casa a chiamare i bambini e salutare i genitori. La strada è bella ripida con tante scale, e i bimbi corrono come se fosse pari. Le case qui vengono costruite nel giro di un giorno con tetti in lamiere e muri con travi di legno. L’altro giorno la mamma del nostro bambino polpetta (Damian) ci fa vedere che parte della strada è crollata a casa della pioggia e lei è caduta facendosi male. Un giorno Fanny aveva cucinato le “albòndegas” allora Rigo mi domanda come si dice in italiano e io gli dico “polpetta” e scoppia a ridere perché trova il nome buffo. Io gli racconto che quando ero piccola mio papà per scherzare con me e i miei fratelli, ci chiamava “polpetta” in modo affettuoso per definirci come furbetti e scaltri ma carini. Non riuscivo bene a descriverlo a Rigo, così quando arrivammo alla biblioteca e incontrammo Damian, un bimbo di 6 anni dolce, allegro con un sorriso così luminoso che ti spiazza ma furbo, allora Rigo lo indica e dice: “Elena, Damiano bambino polpetta” e tutti scoppiamo a ridere. Da quel momento, sempre con grande amore e Damian lo chiamiamo (e si chiama da solo) bambino polpetta.
Saliamo l’ultima scala dove finalmente incontriamo la biblioteca. Sempre prima di entrare ci laviamo le mani e puliamo le scarpe, poi dopo una mezzoretta di gioco libero, facciamo la nostra attività preparata da me e Alessandro. Sotto richiesta di Rigo gli stiamo insegnando l’italiano collegata a diversi valori: è incredibile come i bambini apprendano così velocemente, e che memoria che hanno! Finita l’attività, facciamo due minuti di “abbraccio terapia” tra di noi e infine diamo un dolcetto ai bimbi prima di andare. Salutiamo così Rigo, lo ringraziamo e partiamo per scendere e risalire di nuovo fino la Sierra, godendoci il panorama, il tramonto, grati per parole di Rigoberto e per l’allegria di quei bimbi.