Di Margherita Vecchi, Medellín (Colombia). La stagione delle piogge pare sia arrivata: da una settimana ormai, come un orologio svizzero, arriva la pioggia all’ora di pranzo e di cena, così forte quasi come se volesse farsi sentire da tutti. Riesce perfino ad attutire la musica che a La Sierra, tra vallenato e lo storico reggaeton, non manca mai. Sento le gocce che sempre più forte sbattono sulle lamiere che ricoprono le case. Sono strutture dai tetti in amianto, quest’ultimi usati come stendini quando c’è bel tempo. Spesso li osservo e mi chiedo se siano consapevoli di quanto possano essere nocivi. Ma La Sierra sa essere molto colorata e non il semplice Barrio color arancione dettato dalle costruzioni in mattone che, di primo impatto, danno parvenza di case “lasciate lì, non finite mai”.
La Sierra è ricca di sorrisi, di bambini che ti chiamano da lontano anche solo per salutarti, un susseguirsi di “Profe” gridati che spesso non capisci da dove arrivino… perché loro ti vedono, ti vedono sempre! A La Sierra, le scale colorate e dalle ringhiere gialle riservano tanti incontri di sguardi e di pensieri di chi lì ci passa ogni giorno. “Siamo fortunati oggi ad averle” dice qualcuno che mi vede osservarle, “un tempo, la terra di cui erano formate, scendeva a valle con la forte pioggia”. Sulle scale c’è chi ha sempre la battuta pronta e c’è chi solo con un abbraccio ti dice tanto. C’è anche chi lavora, tagliando amianto, spesso senza protezione ai quali spiego come le polveri sottili non facciano bene, facendo presente alcune accortezze.
Sono ad oggi 8 mesi che vivo nel Barrio La Sierra ed è forse per questo che mi sento più libera e sicura di poter tirare fuori me stessa e renderlo presente, di vivere questo luogo che pian piano ho cominciato a conoscere ed apprezzare sempre più e a farlo mio. E’ come se ogni giorno riuscissi a cogliere un particolare diverso, forse sempre più piccolo ma tanto grande per me. La Sierra, non appena si atterra all’aeroporto di Rionegro-José María Córdova e attraversato il tunnel in direzione Medellin, è il primo Barrio che si può apprezzare: se è notte si illuminano gli occhi dalla bellezza delle luci della città immersa nella Valle d’Aburrá, mentre di giorno si può riconoscere quel tetto verde del collegio… dove penso ora, con fierezza, che io, lì dentro, svolgo attività con i ragazzi del luogo.
La Sierra è anche tanto impegno, un barrio in cui allora vigeva molta violenza, un barrio difficile dove ad oggi, le nuove generazioni, sembra che lo vivano con una freschezza e libertà mai respirata prima. Si, perché ad oggi ne La Sierra si condivide! Se potessi dare un nome a questo periodo della vita che sto attraversando sarebbe proprio “Para compartir”.. i bambini non mancano mai nel voler farmi assaggiare ciò che stanno mangiando, che possa essere una patatina o un mango condito con sale, pepe e limone, accompagnati da bibite gasate dai sapori più dolci, al semplice fruttiño, una polvere al gusto di frutta che i bambini amano mangiare leccandosi le dita ma che nasce come polvere da diluire in acqua per rendere la bevanda al gusto di frutta di ogni genere.
Ma non si condivide solo la comida, si condividono sogni, speranze e racconti. I bambini sono sempre alla scoperta, desiderano conoscere la lingua italiana, cosa si faccia durante il giorno in Italia, che ore siano lì ed è un gioco così simpatico che ormai, da otto mesi, si ripete e non ci si stanca mai. I bambini diventano matti se parli loro della neve, non l’hanno mai vista e mi si riempie il cuore di gioia nel raccontare loro delle nostre battaglie di neve che facciamo da bambini ... e perché no, anche da grandi. E pensare che prima della partenza, il solo sapere di lasciare la mia casa, i miei affetti più cari, luoghi che sentivo e sento miei e non viverli per un anno era molto difficile da digerire, ma ad oggi, tutto ciò che sto vivendo, mi rende entusiasta delle mie scelte.
Questa consapevolezza arriva nel momento in cui ho iniziato a vivere in un altro Paese, a non essere più una turista, neanche una viaggiatrice e insomma, non sono neanche una locale. Mi sono in qualche modo trasformata in una versione intermedia di me, il mio passato e ciò che sono ora. Sarò sempre parte della comunità che ha vissuto questa esperienza unica e che conosce molto bene come ci si sente essere o non essere di un posto, vivere in qualche modo in mezzo. Ed è come sentire che mi manca la mia casa mentre io effettivamente mi sento a casa, dove la comodità e lo sconosciuto riescono a convivere in me. Tiro così un sospiro di sollievo perché mancano per fortuna ancora tre mesi. Non voglio pensare che siano “solo” tre mesi, ma desidero cogliere il tutto in modo positivo: in fondo, la pioggia ora sembra affievolirsi e la tettoia in amianto della Parrocchia Santa Maria della Sierra è stata trattata con vernice.