Perché si sceglie di partire per il Servizio Civile all’Estero? Certo non perché non si ha nulla da fare e nemmeno come alternativa ad un periodo di disoccupazione. Il 61,5 per cento dei giovani che hanno partecipato alla ricerca condotta dal CENSIS per la FOCSIV, ha indicato come motivo princiale che l’ha spinto a partire il “desiderio di completare la propria personalità”. Non tanto motivi ideali, quindi, ma la speranza di vivere un’occasione di crescita personale, l’aspettativa di acquisire quelle capacità per “affrontare la vita nella sua interezza, dalla sfera personale a quella lavorativa”.
E’ questo uno dei risultati più significativi della ricerca “Servizio Civile all’Estero – giovani, lavoro e cittadinanza attiva”, affidata al CENSIS dalla FOCSIV, insieme alla Caritas italiana, alla Comunità Papa Giovanni XXIII, alla CONFAP (Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale), con la collaborazione dell’ISFOL e dell’Ufficio Problemi Sociali e del Lavoro della CEI.
Domande alla base dell’indagine, capire qual’è il ritorno del lavoro fatto con centinaia di giovani all’estero, per loro e per le comunità che investono in questo progetto; quali i punti di forza e di debolezza di questa esperienza; in che modo le competenze acquisite abbiano favorito l’occupabilità dei giovani e la loro crescita in termini di cittadinanza attiva.Leggendo più da vicino i dati della ricerca, alla quale hanno risposto 600 ragazzi partiti all’estero con una delle 60 organizzazioni appartenenti alla FOCSIV - la più grande federazione di organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana presente in Italia -, emergono molti altri spunti interessanti. Oltre l’87 per cento, ad esempio, ritiene che le cose siano andate secondo le proprie aspettative, ed il 74 si dice “molto soddisfatto” dell’esperienza compiuta. Esperienza talmente forte che il 37,2 per cento di loro “ha pensato con forza di stabilirsi nel Paese che li aveva ospitati”.
Per oltre metà del campione, il “saldo” dell’esperienza del Servizio Civile è positivo, vale a dire che ritengono sia di più quello che hanno ricevuto rispetto a quello che sono riusciti a dare. La fiducia nel valore del dono esce, quindi, rafforzata. I due terzi del campione ritengono, infatti, di credere nel “dono” più di quanto vi credessero prima della partenza. Un dato, questo, sottolineato a più riprese in sede di commento, perché in Italia, anche se si parla pochissimo dell’economia della gratuità, esiste una grande disponibilità a fare qualcosa per gli altri, disponibilità che spesso, però, non si sa come incanalare.
Alla richiesta di sintetizzare con un paio di parole l’esperienza fatta, i giovani hanno risposto che più di ogni altra cosa si è trattato di un’esperienza di adattamento (il 72 per cento) e di intraprendenza (il 44). Solo per il 30,4 per cento si è trattato di un’esperienza legata alla solidarietà, e solo per il 10,1 legata alla non violenza, valore all’origine dell’obiezione di coscienza e dello stesso servizio civile.Interessante notare che il 60 per cento di coloro che hanno fatto l’anno di servizio all’estero ha continuato a fare volontariato in Italia, e che il 32 per cento è ripartito come volontario internazionale.
Apertura mentale, solidità emotiva e capacità di accontentarsi sono le qualità che i ragazzi hanno visto rafforzate al rientro in Italia, elementi che testimoniano una crescita umana consistente e che sono giudicati utili ad entrare nel mondo del lavoro; così come le competenze acquisite, tra le quali prevalgono l’arricchimento valoriale, le capacità relazionali, la gestione dei conflitti e le abilità linguistiche.
Ma in soldoni, i ragazzi che tornano dal Servizio Civile all’Estero in cosa si differenziano dai loro coetanei? Una risposta data dai ragazzi balza immediatamente agli occhi, il 93 per cento di loro ritiene di avere più capacità di adattamento dei ragazzi della loro stessa età. E in un mondo che cambia alla velocità della luce, l’adattamento è la vera marcia in più che possiedono questi giovani, unita all’intraprendenza, alla capacità organizzativa e a quella di lavorare in equipe. Elementi richiesti in qualunque contesto europeo e che sembrano equivalere ad un vero e proprio anno di un master acquisito all’estero.
Altri dati dimostrano poi la validità di questa esperienza nella ricerca di un lavoro. Il 70 per cento di coloro che sono tornati è oggi occupato, e se in Italia, tra i giovani laureati, la media per trovare un’occupazione è di 4,3 mesi, la media scende a 3 fra coloro che hanno svolto il Servizio Civile all’Estero.
Commentando i dati della ricerca, mons Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e del Lavoro della CEI, ha offerto il quadro entro il quale si muovono, e si muoveranno sempre di più, le relazioni fra vecchi e giovani. Stretti fra la crisi economia e quella demografica, le due parti rischiamo di “entrare in guerra” senza un nuovo patto generazionale. “I giovani vivono oggi il tempo delle post ideologie, non hanno una loro visione del mondo – ha spiegato Longoni -, e questo è un bene perché la stessa spiritualità non è un’ideologia ma un’esperienza. Finalmente i nostri ragazzi stanno capendo che la vera autonomia non è scevra da regole – ha continuato - ma che è un fatto relazionale”.Accennando alla riforma del Servizio Civile allo studio del governo, Luigi Bobba, sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha ricordato che “il nostro obiettivo è quello di far partire 100 mila giovani entro il 2017, ma soprattutto vogliamo renderlo percorribile anche alle fasce dei giovani più a rischio. In collaborazione con il Ministero dell’Istruzione vogliamo far diventare il Servizio Civile parte organica del percorso formativo degli studenti”. Sommando i fondi del Servizio Civile con quelli di Garanzia Giovani, già dal prossimo anno potrebbero essere tra i 40 ed i 45 mila i giovani in partenza per una esperienza in Italia o all’estero. Allo studio anche una sperimentazione con l’Unione Europea per la costituzione di un Servizio Civile Europeo. Primi a partire proprio gli italiani con i loro coetanei francesi e tedeschi.
“Se come emerge dalla ricerca il Servizio Civile è un qualcosa che funziona, dovremmo tutti investire più risorse per renderlo disponibile al maggior numero possibile di giovani – ha commentato, invece, padre Antonio Lucente, presidente dell’ENGIM e vice presidente di CONFAP -. C’è un popolo di giovani in cerca di prima occupazione, e se così tanti riportano a casa competenze accresciute e talenti messi alla prova, è proprio il caso di crederci ed investire energie e risorse per la crescita umana e professionale dei nostri ragazzi”.