Di Lucia Santini: "Santo Domingo ha una popolazione molto giovane: secondo l’ultimo censimento il 41 per cento degli abitanti ha un’età inferiore ai 20 anni e il 25 tra i 5 ai 14 anni. Il 71,4 per cento di questi minori vive al di sotto della soglia di povertà, il 30,3 vive in uno stato di indigenza ed il numero complessivo di minori che subisce violazioni dei propri diritti è di circa 37 mila all'anno. Non esistono centri ricreativi o case di accoglienza che possano assistere i minori in disagio. Questa assenza ha provocato presenza in strada di diversi gruppi di ragazzi in stato di completo abbandono sia da parte delle loro famiglie che della stessa società, anche se i dati sulla loro presenza sono difficilmente quantificabili. La permanenza in strada espone loro a rischi sociali e sanitari, oltre che abusi e violenze. Questi ragazzi dai 7-8 ai 18 d’età, sopravvivono attraverso l’elemosina o piccoli furti, e iniziano ad inalare colla e a fumare pasta base di cocaina”.
Sono queste le informazioni che mi sono state date a presentazione della situazione sociale esistente in Santo Domingo de los Tsachilas e del progetto. Dati di questo genere, che impacchettano i disagi dell'umanità dentro indici numerici e percentuali, oramai sono all'ordine del giorno per le nostre orecchie. Non ci facciamo granché caso, sono informazioni che scorrono fra mille altre ciarle e che non abbiamo tempo ne' interesse di far nostre. Sono tanto lontane e tanto affilate ...
Ma adesso per me è differente. Adesso per me questi numeri hanno un volto, queste disgrazie hanno un odore, hanno una voce. Allora a vivere sotto la soglia di povertà ci sono Maria e Raquel, che abitano in una casetta di fango e lamiera e dormono coi loro tre fratelli su del cartone steso sopra la struttura scalcagnata di quello che è stato un letto. Daiana vive per strada e quando non viene a scuola lavora coi ragazzi della sua gang come corriere delle droga. Billy …In alcuni momenti più che in altri realizzo chi sono realmente le persone con cui ho a che fare, con cui starei lavorando. Allora mi domando cosa ci faccio io qui, che cosa potrei mai dare io ad uno di questi ragazzi. Quanto senso ha che una persona come me, che non ha mai nemmeno lontanamente vissuto una briciola del disagio che pregna le strade di questo posto, pretenda di aiutare anche una sola di queste persone? Come potrei io entrare in comunicazione con un ragazzo che vive per la strada perché una casa a cui tornare non ce l'ha più, perché la madre se ne è andata nell'oriente e se lei tornasse lo vedrebbe come una bocca in più da sfamare e un paio di braccia in più per il lavoro, perché il padre glielo uccisero davanti agli occhi anni fa, che annega tutto questo in una dose di droga? Cosa potrei mai dargli, io? Io, marziana, che personaggi del genere li ho sempre visti solo come attori di film drammatici e che mi son rifugiata nel sollievo del lieto fine, come posso permettermi di portare loro il mio esempio? Con quale coscienza?
Allora, nel momento in cui vedo un ragazzo scappare da scuola e lo fermo, oppure quando nel mezzo di una rissa divido i ragazzi, nel momento in cui guardo in faccia uno di loro … A volte sento uscirmi dalla bocca le solite domande, quelle di routine, che dette da me a loro hanno un sapore così ipocrita, così stupido. In questi momenti mi sento a disagio, impostora che cerca di indossare un costume di autorevolezza che però è gonfio d'aria fritta, perché non avrei né la capacità né il diritto di stare di fronte a loro e guardarli negli occhi.
Allora il più delle volte non trovo altra strada che quella del cuore, escludo ogni possibilità di rimprovero o moralismo e finisco con l'abbracciare chi mi sta di fronte, col buttare sul ridere la situazione.
Sto capendo perché esistono le carezze e il valore dei sorrisi. Siamo fatti di questo, di abbracci e sorrisi, e con questo possiamo essere curati.
Cerco di accogliere il più possibile, senza riservarmi il privilegio di giudicare né di rifugiarmi dietro una perdita di pazienza, di speranza. Questi sono privilegi che qui non ci si possono concedere. Bisogna accogliere e non cadere quando si viene feriti nella fiducia, anzi, bisogna avere la forza di riproporsi con la stessa fiducia amichevole ed ottimista, perché solo credendo veramente che questi ragazzi saranno il futuro, ed un futuro migliore, potrebbe essere che realmente qualcuno di loro un futuro ce lo avrà.
Concludo riportando queste righe che scrisse Padre Sereno, non so in quale circostanza. Quale pedagogia, metodologia, etc. etc. ho usato? Semplicemente quella del Murialdo: “essere padre-fratello-amico dei ragazzi di strada”. Con ragazzi di strada, fuori dal sistema scolastico, iperattivi, diffidenti, provenienti da situazioni di estrema povertà, violentati in tutti i sensi e distrutti nel loro “sognare” la vita, l’unica pedagogia che si può usare è la pedagogia del “Cuore”. *Padre (cuore di)* di cui l’autorità è certamente importante, ma la paternità stessa lo è ancora di più. Si deve innanzitutto essere “padre”, si deve essere capaci di ri-generare questi giovani con la mente e con il cuore. Hanno sì bisogno di un’autorità, ma di un’autorità “misericordiosa”, che sa comprendere e perdonare, ma che nello stesso tempo non chiude mai le porte e che è pronta a ridare la fiducia fino alla millesima volta.
*Fratello (cuore di)* che cammina con loro, che sta accanto, che si siede con loro quando sono stanchi, ma che è anche un punto di riferimento forte e che è loro vicino quando hanno paura di questo mondo difficile che hanno già conosciuto fin da bambini. Un fratello che li aiuta a sognare un mondo diverso, che li aiuta a vedere ancora che gli “altri” non sono “tutti cattivi”.
*Amico (cuore di)* che sa ascoltarli, che gioca con loro, che scherza con loro, che ride e che piange con loro e che gli sa donare affetto e comprensione. Un amico del cuore di cui si possono fidare anche quando gli altri con i loro pregiudizi li giudicano “cattivi”; un amico su cui possono contare, non perché si sono comportati bene con lui, ma semplicemente perché lui, l’amico, li ama così come sono senza giudicarli, lasciando che incontrino Dio, Colui che ha tracciato per ognuno di loro un cammino, che a volte è tanto difficile da capire e intendere da parte nostra, così “strutturati” come siamo.