Martina Blasig, 28 anni di Gorizia, prima della pandemia da coronavirus faceva la volontaria in Albania con i “Corpi Civili di Pace”. Prima di lasciare il Paese delle Aquile, e fare ritorno in Italia, ha appena fatto in tempo a discutere, a “distanza” la tesi della sua laurea magistrale. Di seguito il racconto della sua particolare esperienza.
Per prima cosa Martina, permettimi di domandarti dell’Albania e del coronavirus, qual è la situazione e quali sono le sensazioni della gente?
Attualmente, in Albania sono state riscontrate circa un centinaio di persone positive al COVID.-19. La popolazione albanese risulta abbastanza preoccupata in quanto è cosciente che se, questa pandemia dovesse espandersi sul territorio delle aquile, il sistema sanitario non sarebbe in grado di gestire questa emergenza. Pertanto, il primo ministro Edi Rama, fin dal primo caso riscontrato, ha elaborato un piano per prevenire il diffondersi di questa pandemia, limitando il movimento della popolazione all’interno e all’esterno del Paese e chiudendo i centri educativi e aggregativi, quali scuole, bar, ristoranti, palestre ecc.
Allora veniamo a te, quando hai discusso la tesi e su cosa …
Il 19 marzo ho discusso la mia tesi a distanza, esattamente da Fier dove ero impegnata nel progetto dei corpi civili di pace. L’elaborato intitolato “Analysis of an identity. Highlighting the history of the Rom culture within the Albanian context through a comprehensive approach” rappresenta una tappa fondamentale per il conseguimento del titolo in Laurea Magistrale in International cooperation on human rights and intercultural heritage. Questo progetto di tesi nasce dal bisogno di analizzare le dinamiche del variegato tessuto sociale di Fier: del “come” la civil society e la comunità rom presenti in quel distretto urbano interagiscano e possano interagire fra loro e vuole chiarire le necessità che le comunità rom si trovano ad affrontare quotidianamente.
Questo elaborato ha avuto come obiettivo principale l’acquisizione di una più completa visione d’insieme, tramite una ricerca empirica sul campo della durata di due mesi supportata da ENGIM internazionale e dal Qendra Sociale Murialdo. Per svolgere questa analisi sono state elaborate due ricerche parallele, la prima prende in considerazione il punto di vista degli attori fondamentali, le popolazioni rom attraverso l’utilizzo di un metodo qualitativo basato su delle interviste semi-strutturate e l’osservazione diretta sul campo, mentre nella seconda ricerca ha lo scopo di analizzare gli interventi messi in atto dalle associazioni, Organizzazioni Non Governative, istituzioni, le cui missions rientrano nella creazione di processi d’integrazione e inclusione sociale, economica ed educativa sia nel contesto locale e nazionale. Per questa seconda parte di analisi è stato utilizzato un metodo quantitativo basato sull’elaborazione e somministrazione di un questionario.
Sei rimasta soddisfatta?
Discutere la tesi a distanza è stato strano e diverso, probabilmente avevo immaginato questo momento di conclusione e commemorazione in modo differente, circondata dall’affetto della mia famiglia e dai miei amici, ma i fatti di attualità che stanno colpendo il contesto italiano e mondiale hanno fatto sì che esponessi i risultati di questa ricerca proprio nel Paese in cui tutto ebbe inizio. Sicuramente questa discussione rimarrà indelebile nella mia memoria, ma colgo l’occasione per ringraziare tutte le persone che mi hanno supportato in questi giorni da Fier e dall’Italia organizzando dei brindisi virtuali.
Quali sono adesso i tuoi progetti?
In questi giorni sono stata rimpatriata a cause della pandemia mondiale. Non so ancora cosa succederà in futuro, ma dopo questa esperienza sono riuscita a sviluppare un’idea più concreta sul mondo della cooperazione internazionale, e mi piacerebbe continuare un percorso formativo e professionale in questo ambito. Inoltre, ritengo fondamentale che l’elaborazione di progetti sostenibili debbano nascere da una ricerca sul campo dettagliata, in grado di captare le reali necessità delle persone coinvolte.
Di cosa ti occupavi in Albania, quali progetti seguivi?
Ero in Albania con i Corpi Civili di Pace, tramite il progetto “Legalità, inclusione e diritti per contrastare e prevenire dinamiche violente e criminali in Albania”. A Fier ero impegnata in diversi ambiti, in primis in una pasticceria sociale che, da circa un anno, Engim Albania ha aperto in un bene confiscato alla criminalità organizzata. KeBuono non è soltanto una pasticceria, ma grazie al sostegno di alcuni partners, vengono organizzati dei corsi di formazione professionale nel mondo della pasticceria, permettendo ai corsisti di implementare le loro abilità in una visione di crescita globale. All’interno del progetto Ke Buono ho supportato e partecipato all’implementazione delle diverse attività, cercando anche di incentivare l’aggregazione giovanile tramite l’organizzazione di eventi ludici e di sensibilizzazione nei confronti delle fasce più vulnerabili quali donne e bambini.
Inoltre, con una frequenza bisettimanale ho sostenuto e collaborato nello sviluppo delle attività formative che vengono svolte all’interno del centro diurno “Horizont”, che accoglie circa 25 ragazzi con diverse disabilità.
Infine, tramite una collaborazione con il Qendra Sociale Murialdo, sono stata coinvolta in modo attivo nelle azioni educative non formali che vengono pianificante con i bambini e i ragazzi rom presso il centro comunitario di Drize, e da qualche mese grazie al supporto di una organizzazione locale abbiamo vinto un progetto che mira ad incentivare la crescita professionale e personale delle donne rom tramite l’acquisizione di alcune tecniche di tessitura.
Te la senti di fare un bilancio di questo periodo?
Credo che questi 9 mesi in Albania possano essere rappresentati in modo metaforico come un giro sulle montagne russe o, meglio ancora, come un clown che cerca di trovare il suo equilibrio mentre cammina sulla corda. Ci sono state sicuramente delle difficoltà da superare dettate da un contesto culturale differente, che hanno fatto emergere in modo più nitido le mie debolezze ma anche i punti di forza. Adesso che sono ritornata “in patria” credo che sarà opportuno ritagliarmi del tempo per analizzare in dettaglio il percorso svolto e fare una valutazione globale di questa esperienza che sicuramente mi ha fatto crescere su diversi piani.
E’ un’esperienza che consiglieresti ed un coetaneo e perché?
Si, assolutamente, credo che sia un’esperienza che consiglieri vivamente ad ogni ragazzo/a che voglia mettersi in gioco e uscire dalla “comfort zone” confrontandosi con un altro contesto culturale e sociale che gli permetterebbe di arricchirsi e apprezzare tutte le possibilità ricevute.
Personalmente ti consideri cambiata, maturata e in che cosa?
Sono in Italia da 4 giorni e forse non sono ancora riuscita a metabolizzare di aver terminato questo percorso che, probabilmente, mi ha fatto crescere ed esaminare le cose con una prospettiva diversa. Immergermi in una cultura completamente estranea, apprezzando i lati positivi e negativi e facendo tesoro di ogni tassello, questa è soltanto una piccola parte di questa avventura, che continuerò a custodire nel mio cammino.