30 mila vittime, 68 miliardi di litri di petrolio ed altri inquinanti rilasciati sui terreni dell’Ecuador dalla Texaco (Oggi Chevron – Texaco) in 26 anni di sfruttamento intensivo: questi i dati impressionanti riportati da Pablo Fajardo, l’avvocato e attivista che rappresenta, da anni, le vittime del colosso americano.
Di questa lotta, e dei tanti ostacoli che si frappongono al raggiungimento della giustizia, si è discusso oggi presso la redazione dell’agenzia giornalistica Dire, dove erano presenti anche William Lucitante dell’associazione delle vittime Unión de Afectados por Chevron-Texaco (Udapt), Gianni Del Bufalo direttore della Focsiv, Riccardo Noury di Amnesty International e Salvatore Pappalardo dell’Università di Padova, coinvolta in nuovi studi sull’inquinamento da “gas flaring” (le torce che bruciano accanto ai pozzi petroliferi) in Ecuador.
Nell’incontro, realizzato nell’ambito di “Amazzonia: casa comune”, iniziativa a latere del Sinodo sull’Amazzonia, sono state ripercorse le tappe della battaglia giudiziaria iniziata 26 anni fa. Dalla sentenza ecuadoriana che, nel 2011, ha condannato la Chevron Texaco a risarcire nove miliardi e mezzo di dollari alle vittime, fino al verdetto di una corte arbitrale dell’Aja che ha intimato alle autorità di Quito di compensare il colosso nordamericano per violazioni di un accordo sugli investimenti sottoscritto con gli Stati Uniti negli anni ’90.
“Per noi è di fondamentale importanza che di questi problemi si continui a parlare – ha denunciato l’avvocato Fajardo -, il mondo deve conoscere quello che è successo in Ecuador e quali sono i pericoli e i danni che le popolazioni locali continuano a subire”.
“Sembra che non ci sia accesso alla giustizia quando le vittime sono i poveri e i contadini, specie contro un colosso come la Chevron – ha continuato Fajardo -. Le corti internazionali sono accessibili solo agli stati. Esiste un vuoto legislativo che deve essere colmato per permettere ai popoli di portare in giudizio le multinazionali”.