Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, arrivano come un pugno nello stomaco i dati dell’ultimo report di Oxfam, l’ONG britannica che ha fatto della lotta alla povertà la sua mission. I numeri non sono nuovi, ma colpiscono lo stesso per la loro durezza e perché, anno dopo anno, non accennano a diminuire. Tutt’altro. Il report, “Ricompensare il lavoro, non la ricchezza”, ricorda che l’1 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede quanto il restante 99 per cento. E continua a diventare sempre più ricco. Questo perché è riuscito ad intascare l’82 per cento dell’incremento di ricchezza prodotto nell’anno precedente (tra il marzo 2016 e il marzo 2017). Nemmeno un centesimo, invece, è andato a finire nelle tasche del 50 per cento della popolazione più povera, che supera i 3,7 miliardi di persone.
In Italia la situazione non è molto differente dalla fotografia scattata da Oxfam a livello mondiale. Elaborando dati del Credit Suisse, l’ONG fa notare che nel nostro Paese il 20 per cento degli italiani più ricchi detengono il 66 per cento della ricchezza nazionale. Dalla lettura di questo dato, la confederata italiana di Oxfam, in vista delle prossime elezioni amministrative, ha presentato alcune richieste ai candidati premier in materia di fisco, lavoro e spesa pubblica, nel tentativo di arginare la crescita della diseguaglianza.
Dal rapporto emerge un altro dato molto significativo: i due terzi della ricchezza delle persone più facoltose non è frutto del loro lavoro, ma di una rendita monopolistica, eredità o rapporti clientelari. Numeri che pesano come macigni sui 40 milioni di persone che nel 2016 erano letteralmente schiavizzate dal mercato del lavoro (fra essi anche 4 milioni di bambini).
Un dato rende alla perfezione il paradosso del lavoro meno “pagato” della ricchezza. Gli azionisti dei cinque principali "marchi" di abbigliamento, si legge nelle pagine del rapporto, hanno riscosso 2,2 miliardi di dollari di dividenti nel 2016. Un terzo di questa cifra sarebbe sufficiente a garantire un salario dignitoso a 2,5 milioni di vietnamiti che lavorano nello stesso settore.