di Raffaele Masto
Sinnah ha quattordici anni, come Sidimba, la sua amica del cuore. A vederle nessuno lo direbbe ma sono due ragazze felici. La loro condizione dipende dal contesto: entrambe vivono in Sierra Leone, uno dei paesi più disastrati del mondo, addirittura l’ultimo nella graduatoria per lo sviluppo umano stilata ogni anno dalle Nazioni Unite.
Sidimba e Sinnah sono fortunate: vanno a scuola e sono tra le prime della classe, vestono abiti puliti, mangiano tutti i giorni, abitano in una casa in muratura assieme ad una decina di loro amiche dove hanno il loro letto a castello
La loro felicità è un paradosso. La prima è cieca, all’età di sette anni i guerriglieri le hanno bruciato gli occhi facendole colare sulle pupille le gocce di un sacchetto di plastica bruciato. Sidimba ha il braccio destro amputato all’altezza della spalla, non potrà mai portare una protesi. Un colpo netto di machete sferrato da un bambino soldato l’ha mutilata quando aveva sei anni.
Sinnah e Sidimba quando non studiano passano il loro tempo a scherzare come tutti gli adolescenti del mondo, sono chiassose e ridono per un nonnulla ma sanno anche essere solidali. Quando Sidimba deve lavarsi gli abiti, Sinnah le presta le sue braccia e quando quest’ultima deve andare da qualche parte la prima le mette a disposizione i suoi occhi accompagnandola. Questo tipo di solidarietà è la regola voluta da Padre Maurizio Boa nelle sue case-famiglia costruite intorno alla capitale Freetown.
Fuori dalla casa-famiglia la città brulica di un traffico caotico immerso in una appiccicosa nebbiolina che è un mix tra i gas di scarico di vetture, camioncini e furgoni sgangherati e la fuliggine prodotta dalla legna bruciata che è l'unica fonte di energia disponibile per i circa due milioni di abitanti della capitale, un terzo della popolazione totale della Sierra Leone. In centro il monumento nazionale, il cotton tree, un maestoso tronco recintato all'interno di un minuscolo prato ingiallito, è assediato da un traffico assurdo di auto incastrate in grovigli impossibili tra i cui interstizi si muovono pedoni carichi di ogni genere di mercanzia. L'albero resiste e cerca di testimoniare la storia di questo paese: nei secoli passati, infatti, al suo tronco sono stati incatenati migliaia e migliaia di schiavi trasportati poi oltre oceano e destinati alla coltivazione e alla raccolta del cotone.
Se si passeggia per Freetown si comprende il paradosso di Sidimbah e Sinnah e la loro fortuna: la popolazione è poverissima, l'aumento del prezzo del riso qui ha messo alla fame il novanta per cento degli abitanti e tra le auto bloccate nel traffico i mutilati sono migliaia. Alcune famiglie cercano di farli diventare un businnes, cioè li trasformano in strumenti per avere qualche chances in più per ottenere elemosine: c'è il bambino che guida il padre cieco ai finestrini delle auto e gli tende la mano all'interno dell'abitacolo o la madre accasciata a terra, con la sua bambina tra le braccia, su un marciapiede putrido e ingombro di bucce di mango e verdure putrescenti che, con la sua gamba amputata, chiede qualche leone, la moneta locale, ai passanti.
Questo esercito di mutilati sono il frutto della guerra civile, una delle più crudeli e feroci di tutto il continente. Un conflitto condotto per un unico motivo: il controllo delle ricchissime miniere di diamanti della regione del Kono ambite da una formazione guerrigliera, il Ruf, Fronte Rivoluzionario Unito, che per dieci anni ha esportato queste pietre in tutto il mondo facendo arricchire i suoi comandanti, intermediari vari, lobby economiche e paesi vicini, soprattutto la Liberia e il suo presidente dell’epoca, Charles Taylor, oggi accusato di crimini di guerra e contro l’umanità e in attesa di giudizio.
I comandanti del Ruf usarono scientificamente le amputazioni per spargere il terrore nel paese e tra la sua popolazione perché non appoggiasse il governo. A farle compiere in modo sistematico usarono soprattutto i bambini-soldato, ragazzini appena adolescenti sequestrati a forza nei villaggi attaccati. Per cancellare nelle loro menti qualunque barlume di umanità li obbligavano a violentare le madri o le sorelle e uccidere o amputare i padri. La droga poi faceva il resto e questi ragazzini diventavano dei mostri di crudeltà, ciechi e sordi a qualunque richiamo umanitario.
Il risultato è che oggi il problema dei mutilati in Sierra Leone è enorme: sono decine di migliaia, non possono lavorare e hanno bisogno di assistenza che il paese non riesce a dare, sono una zavorra insopportabile per lo sviluppo e alla stragrande maggioranza di loro la fortuna non ha arriso come a Sidimba e Sinnah.
La fortuna di Sinnah e Sidimba si chiama Padre Maurizio Boa, missionario italiano da anni in Sierra Leone dove ha vissuto la guerra e in seguito si è dedicato a raccogliere e assistere i mutilati bambini. Oggi le sue case-famiglia ne ospitano una cinquantina, lui paga loro la retta per la scuola, da loro da mangiare e un tetto. Ragazzi e ragazze lo considerano come un padre e lui si schernisce: “Quando è finita la guerra – dice – qui in Sierra Leone arrivarono eserciti di agenzie e organizzazioni umanitarie e tutte si occuparono dei bambini-soldato, della loro riabilitazione e della loro assistenza. Giusto. Ma nessuno si occupò delle loro vittime: i mutilati. Non potevo restare con le mani in mano e cominciai a fare qualcosa per loro. Oggi le case-famiglia sono una goccia in un mare di bisogni e ci sono casi veramente pietosi, basta pensare ai doppi mutilati, persone alle quali sono state amputate entrambe le braccia. Adesso hanno bisogno di aiuto per tutto, anche per le cose più elementari come vestirsi e mangiare”. Ne incontriamo uno, si chiama Hamed, oggi ha quasi quaranta anni. Padre Maurizio gli ha costruito una casa e gliela ha intestata in modo che la famiglia possa realmente assisterlo e non abbandonarlo come un peso, come avviene spesso. Ci attende sulla piccola veranda e quando ci vede arrivare saluta sollevando uno dei due moncherini appoggiato sul grembo. Parla e sorride con Padre Maurizio ma poi, quando si tratta di rispondere alla domanda se crede o meno alla riconciliazione, scuote la testa e scandisce lento una frase terribile rivolta al suo aguzzino: “Camminerò tutta la vita e quando lo incontrerò lo ucciderò. Solo allora sarò in pace”.
Si, perché dalla fine della guerra anche in Sierra Leone, come in Ruanda, come in Sudafrica, è stata lanciata una campagna di riconciliazione e i risultati, sul piano politico, sono sembrati promettenti. Alle amministrative del 2003 la popolazione ha votato in massa mostrando un grande desiderio di dimenticare gli orribili anni della guerra. Le nazioni Unite hanno potuto ritirare la loro missione senza contraccolpi interni e nelle politiche e presidenziali del 2006 c'è stato un nuovo massiccio afflusso alle urne della popolazione che ha nettamente bocciato il candidato governativo, il vice presidente uscente Solomon Berewa a favore di Ernest Koroma, candidato dell'opposizione. La successione è avvenuta senza problema e non è un successo da poco per un paese dell'Africa dove i presidenti non lasciano facilmente il trono, anche quando perdono le elezioni. Da questo punto di vista la Sierra Leone è stato un esempio per tutto il continente di cui va dato atto al presidente uscente, Ahmad Tejan Kabbah che ha difeso il Paese ed è rimasto in carica negli anni più bui della guerra civile. Per il futuro si tratta di vedere se i nuovi governanti sapranno realmente distribuire la ricchezza di un paese che potrebbe essere auto-sufficiente ed è invece il più povero del mondo. Per lo sfruttamento delle miniere di diamanti sono già in coda, per ottenere concessioni, le multinazionali di tutto il mondo, prime fra tutte quelle cinesi. Quella che finora è stata una maledizione potrebbe trasformarsi in una opportunità dato che il fascino di queste pietre preziose non è mai tramontato grazie anche ad una azzeccata campagna di comunicazione che recita: “Un Diamante è per Sempre”. Sidimba e Sinnah avrebbero qualcosa da obiettare: anche una amputazione è per sempre. Box La storia Fondata alla fine del 1700 da ex schiavi liberati dagli inglesi, la Sierra Leone è divenuta una colonia britannica nel 1808, ed è rimasta sotto il governo di Londra fino all'indipendenza nel 1961. Gli anni Novanta del secolo scorso sono stati segnati da diversi colpi di Stato militari e da una terribile guerra civile, scatenata dai ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito. Ad alimentare la tensione e l'instabilità hanno contribuito gli ingenti interessi economici locali legati alle ricchezze minerarie presenti, che hanno coinvolto anche i Paesi vicini ed alcune multinazionali straniere. Concluso il conflitto nel 2002, il paese è completamente devastato e privo di infrastrutture. Un tribunale internazionale è al lavoro per giudicare coloro che si sono resi responsabili di massacri e atrocità.