Di Davide Pavia. Ci sono posti dove conviene nascerci scalzi, bisogna ammetterlo. Ci riflettevo mentre affondavo per l'ennesima volta nel fango, lungo la strada d'accesso a una piccola comunità amazzonica, non saprei dirvi nemmeno dove sulla cartina. In una simile situazione non si fatica solo fisicamente: sovente il discorso ricade sull'esistenza d'insetti e animali letali, presenze inavvertibili e per questo onnipresenti nell'angoscia di chi, come me, si è veramente ritrovato a camminare scalzo, con dei piedi che non hanno di certo fatto i calli alle pantofole e alle Timberland, comprate apposta perchè comode.
In certi posti bisogna nascerci scalzi, appunto, perchè da grandi ci si arriva abituati a certe comodità che nella giungla non si possono reperire, seppure se ne conosca l'esistenza. La prima caratteristica distintiva di questi luoghi è la lontananza, non tanto chilometrica quanto legata all'inaccessibilità che li isola dal resto del paese. Dove finiscono le strade, ai margini del bosco, iniziano i sentieri, trasformati in fanghiglia dalle piogge e dal calpestio dei cavalli; in alcuni tratti la vegetazione s'infittisce tanto che un occhio poco esperto ne perde le tracce. Un percorso può scomparire nell'arco di un paio di giorni se il machete non tiene a bada la rigogliosa ricrescita della natura. Mi raccontava un signore di come uscisse dai confine del suo piccolo villaggio solo un paio di volte al mese, indispensabili all'acquisto di alcuni beni essenziali quali l'olio, lo zucchero e alcuni medicinali; il resto è tutto autoprodotto, dalla carne alle uova, dalle banane alla yuca, così com'è evidente dai polli, dalle oche e dai tacchini lasciati allo stato brado tra le capanne e le case di legno.
Tutto controllato, tutto naturale, tant'è che i maschi sono forti e sani come le donne, madri d'innumerevoli figli. Eppure le pance gonfie di alcuni bambini non ricordavano l'ingordigia, così come gli insetti che gli saltavano in testa non ispiravano l'igiene. Non ci sono dottori, solo curatori esperti in erboristeria, nè una stazione di polizia, dal momento che le leggi vigenti non sono quelle dello stato ma della stessa comunità, giudice e guardiana di tutti i suoi membri. C'è una scuola, una chiesa e un campo da calcio; tutt'attorno la giungla, con i suoi fiumi e i suoi versanti verdeggianti. Di questi posti si può avere soltanto un'idea, una vaga sensazione di come si possa vivere nell'isolamento e nella natura selvaggia da cui l'uomo è fuggito durante l'arco della sua evoluzione, colonizzando territori meno pericolosi e vivibili. Luoghi che affascinano appunto perchè in contrasto con l'inesorabile progresso della città e delle sue periferiche, dove l'anonimato non esiste, per quanto non esistano le anagrafi, e la natura è ancora dominante, abbastanza da farti sentire in gabbia. A questi luoghi ci affacciamo noi, pallidi e sperduti esploratori, saturi dell'inquinamento e delle negatività delle metropoli, piccole e grandi, da dove veniamo.
Il nostro autentico desiderio di natura ci rende agenti contaminanti di questi ambienti che grazie alle nostre voglie cercano di aprirsi a un mercato, quello turistico, molto spesso disposto a scendere a compromessi con chi è disposto a viaggiare solo a garanzia di determinati comfort. Sembra paradossale, ma per entrare in contatto con una certa natura bisogna andarne contro un'altra, la nostra: ci si deve abbandonare al fango, sguazzandoci dentro e dimenticandosi dell'asciutto e della pulizia, tanto non si può sporcare una cosa già sporca. Non è semplice, e nel poco tempo che ho avuto a disposizione non ci sono riuscito come avrei voluto, più attento a evitare gli ostacoli che a goderne. Un'altra volta, chissà, vedrò di venirci coi calli, o con un paio di stivali, mentre aspetto che questi mi crescano