Di Lorenzo Garbari, Tena (Ecuador). Perché partiamo? È un pensiero che mi accompagna mentre ripenso a tutte le esperienze vissute quest'anno in Ecuador. Penso alle “minghe” per costruire orti nelle comunità, penso al sudore, penso alla fatica, penso alle risate, penso alla frustrazione di quando le cose non funzionano ma anche alla soddisfazione di quando, invece, vanno bene.
Penso alla delusione delle donne di Ongota nel vedere il tetto del loro orto crollare dopo una giornata intera di lavoro per costruirlo, ma penso anche al loro sorriso quando, solo due mesi dopo, ci fanno vedere tutto quello che riescono a raccogliere. Penso alla mia difficoltà davanti a un problema mentre qui quel “problema” nemmeno esiste, e mi sorprendo di fronte alla facilità disarmante con la quale si trovino soluzioni alternative, la mancanza di attrezzature si trasforma in ponteggi fatti da scale e assi e sostenuti a mano da persone, scale umane,
motoseghe utilizzate in equilibrio su travi a cinque o più metri di altezza. Penso alle occhiatacce se, durante la pausa pranzo, regalo un pezzo di pollo a uno dei tanti cani randagi che ci accompagnano durante tutta la giornata. Penso alle pause forzate dalle piogge torrenziali che ci colpiscono di colpo ma che se ne vanno con altrettanta velocità, penso a quanto sia bello il fatto che qui sia ancora la natura a scandire il ritmo delle giornate, della vita.
Cerco di immaginare se in Italia sia possibile radunare tutte le persone di un quartiere, di un paese o di una via per collaborare alla realizzazione di un progetto comune. Faccio davvero fatica ad immaginarlo, il senso di comunità che qui è ancora forte ormai lo abbiamo perso. Le minghe sono proprio questo, sono il riunirsi delle persone di una comunità per realizzare un bene comune. Le minghe mi insegnano a condividere, le minghe mi insegnano ad affrontare delusioni, le minghe mi permettono di conoscere. Le minghe non sono solo momenti di lavoro comunitario, ma vere e proprie lezioni di condivisione, resilienza e scoperta personale. Penso ai bambini della comunità di Huamaurco che non credono nemmeno per un secondo alla favola di "Alberto del huerto" ma decidono comunque di stare al gioco.
Ma cosa voglio insegnargli io sulla natura? a loro che ne sono parte. Penso ad Oliver che impazzisce di gioia mentre aspetta che Jonathan gli lanci da sopra un albero dei frutti con cui potranno poi giocare insieme. E penso a quanto io sia felice nel vivere questo attimo. Perché sì è solo un attimo, poco dopo siamo già corsi via per sbucciare i frutti e ricavarne i semi che serviranno poi per giocare a boliche. Penso alle risate di Jair e Josmary quando giochiamo all’albero, penso a tutti loro che si arrampicano e dondolano sul mango senza la minima paura di cadere.
I bambini di Huamaurco mi insegnano la semplicità. I bambini di Huamaurco mi insegnano che le cose non vanno mai come programmate, i bambini di Huamaurco mi insegnano che un cambio è possibile. Passare una giornata a Huamaurco non è semplicemente un'esperienza educativa, ma un'opportunità che ti guida a riconsiderare le tue priorità, a riscoprire il valore della semplicità e a trovare gioia nei dettagli della vita quotidiana.
Ripenso a tutte queste immagini che scorrono nella mia mente, sicuramente partiamo sempre con l'idea di aiutare, forse romantizzando un po' quella che sarà la nostra esperienza. Tuttavia, quello che sto vivendo qui mi sta insegnando che riceviamo molto più di quanto diamo. Ogni giornata di minga, ogni giornata a Huamaurco, ogni momento condiviso mi apre gli occhi su quanto c'è da imparare e da comprendere prima di poter veramente contribuire positivamente. Forse la vera soluzione sta nell'accettare che dobbiamo imparare e conoscere, prima di poter sperare di fare una differenza significativa. Solo quando avremo compreso appieno che i rapporti sono e devono essere bidirezionali, potremo, chissà, sperare di dare un aiuto effettivo. Per ora non ci resta che lasciarci aiutare.