Di Sara Furmio, Quito (Ecuador). No, non li sto contando, ma oggi mi è capitato che per una pratica riguardo il visto mi è stato detto il numero esatto dei giorni trascorsi qui. Inevitabilmente la mia mente ha iniziato a fare un recap di tutto quello che è successo negli ultimi mesi della mia vita. Questi 76 giorni sono stati così intensi che sembra sia passato già un anno, allo stesso tempo se mi fermo a riflettere non sembra sia passata neanche una settimana per come sono scivolati questi giorni, questa è una delle tante contraddizioni che ho scoperto a Quito. Le emozioni che mi hanno accompagnata da quando sono arrivata però sono così amplificate che a volte ne sento il peso. Sono partita con 11 sconosciuti carica di entusiasmo e paura e sono arrivata scoprendo di aver trovato una seconda famiglia. Il pensiero di condividere questa esperienza con delle persone che ho subito percepito come alleate mi ha aiutato ad affrontare serenamente i primi giorni a Quito.
Perché "serena" forse non è l’aggettivo che più si addice a questa città. Quito è una città immensa, caotica, contraddittoria che appena arrivi non sembra accogliere nei migliori dei modi. Per l’altitudine si fatica anche a fare due passi senza fiatone poi il corpo si abitua e mostra la sua magnificenza nell’adattarsi. Il senso dell’orientamento ancora fatico a trovarlo, il nord della città lo confondo con il sud trovandomi così il primo gg di lavoro ad essere arrivata con più di un’ora di ritardo.
Per andare al lavoro al centro di accoglienza che si trova al sud della città, in uno dei quartieri più problematici, la percorro tagliandola in due, da nord a sud e mi sono resa conto giorno dopo giorno delle contraddizioni più profonde che convivono in questa città. Spaccata in due tra ricchezza e povertà, tra traffico imbottigliato del sud e tranquillità delle villette a schiera del nord circondate da parchi, spazzatura in ogni lato al sud e giardinetti perfettamente curati al nord, e così potrei continuare a scrivere per ore. Venti minuti di taxi bastano per sentirti in città completamente diverse. È una città che va compresa, e non sempre ci riesco, regala tramonti e albe che tolgono il fiato. Basta salire al parco metropolitano per emozionarsi davanti all’immensità delle Ande e lasciarsi abbracciare per sentirsi al sicuro. Insomma Quito prima ti mette alla prova e poi (ogni tanto) ti accarezza. Nei weekend quando non si lavora e la città mi sta stretta cerco di scappare e trovare rifugio nella natura che popola l’Ecuador, così viva e fiorente che quella vitalità che a volte viene risucchiata dai ritmi della città poi la restituisce l’Amazzonia con l’oceano e le Ande.
In questo periodo storico l’Ecuador è un Paese di passaggio per molte persone, lo è anche per me, è come se la città se ne fosse accorta e segue il ritmo precario delle persone. Si sveglia molto presto e si addormenta altrettanto presto, è come se rispettasse il ciclo solare in maniera spirituale come fanno le comunità indigene che popolano questo Paese. Di persone di passaggio appunto ne sto incontrando molto al centro di accoglienza “El Buen Samaritano” dove sto svolgendo il servizio civile. C’è chi scappa, chi ritorna, chi è in cerca semplicemente di un’opportunità e chi invece cerca solo di sopravvivere.
Poi ci sono i bambini che ho imparato a capire da quanti gg sono arrivati a Quito dalla pelle secca delle gambe. L’aria sottile di Quito fa subito seccare la pelle e i bambini come se fosse un gioco è una delle prime cose che mostrano inventandosi storie sul fatto che sono serpenti e che stanno cambiando pelle, così trascorriamo ore a far finta di essere gli animali più bizzarri. Il mio ruolo nel centro di accoglienza è quello di educatrice ma molto spesso mi ritrovo a ricoprirne diversi, essendo bambini per la maggior parte non scolarizzati e spesso stremati dai lunghi viaggi percorsi oppure da tanti giorni trascorsi a dormire in strada, spesso cerco solo di alleviare la sofferenza dei giorni che hanno passato, inventando giochi, ballando, correndo e cercando di capire quali possano essere i loro interessi, così a volte salta fuori che a qualche ragazzo piace fare i biscotti e quindi occupiamo la cucina e sforniamo deliziosi biscotti al cioccolato che un po’ mangiamo e un po’ le famiglie possono andare a vendere, oppure capita che con il corso di cucito abbiamo creato delle bandane multicolori per giocare a ruba bandiera.
Con il corso di inglese invece per la prima mezz’ora si riesce ad imparare qualcosa che ripetiamo tutti i giorni poi per i restanti minuti l’attenzione viene meno e inventiamo parole a caso che suonano inglese e così grandi risate prendono il sopravvento. Non mi aspettavo spesso di riuscire ad essere all’altezza della situazione che mi si è presentata eppure i sorrisi e gli abbracci che regalo e mi regalano ogni giorno mi danno fiducia e mi ripagano di tutti sforzi. Immensamente grata di aver colto questa opportunità del Servizio Civile Universale, nonostante i sacrifici, le gioie e le piccole soddisfazioni che per 76 giorni stanno facendo parte della mia nuova vita mi fanno capire di aver fatto la scelta giusta.