Di Antonio Sciacca, Quito (Ecuador) - Recentemente l’Ecuador è finito sotto i riflettori del mondo a causa di vicende tristi che lacerano nel profondo il cuore del paese. Sto parlando dello stato di emergenza nazionale in cui è piombato l’Ecuador a seguito di violenti attacchi terroristici perpetrati da gruppi di narcotrafficanti solidamente impiantati nel paese. Ma gli episodi di violenza che hanno travolto la Nazione hanno radici più profonde.
L’Ecuador era un Paese che, fino a qualche anno fa, veniva considerato sicuro. O comunque, molto meno afflitto dalla piaga del narcotraffico. Ma la posizione geografica della Nazione, che confina direttamente con le due principali nazioni produttrici di droga (Colombia e Perù), non contribuisce a isolare l’Ecuador dall’influenza del mercato del narcotraffico. Inoltre, gli ultimi governi che si sono susseguiti a partire da Correa, hanno iniziato un progressivo allontanamento delle forze statunitensi dal territorio dell’Ecuador. Ci sarebbe da discutere quanto sia conveniente scegliere fra il controllo esercitato da una potenza come quella statunitense, o il controllo esercitato dal pericolo costante del narcotraffico. Ciò che è un fatto è che l’assenza della DEA dal territorio dell’Ecuador ha agevolato l’ingresso di bande narcotrafficanti provenienti da altri territori.
In pochi anni l’Ecuador ha visto crescere costantemente il suo livello di insicurezza. In particolare, negli anni del COVID, in cui è stato facile per il narcotraffico approfittarsi dello scarso controllo del territorio da parte dei governi, impegnati a far fronte a una crisi sanitaria ed economica eclatante. L’economia in Ecuador è prevalentemente di tipo diario, le persone escono la mattina con la prospettiva di non sapere quanto guadagneranno e nella speranza che sia sufficiente per le esigenze quotidiane. Non c’è programmazione economica, o comunque, non è così diffusa. Facile comprendere quanto il COVID abbia messo in crisi l’economia già fragile di un paese come l’Ecuador. In tutto questo contesto prolificano fenomeni come quello del narcotraffico. L’interesse delle bande è quello di utilizzare il territorio ecuadoriano come centrale di distribuzione della droga, per questo si sono innestate prevalentemente nei territori costieri, di confine e nella grande città di Guayaquil, teatro dei principali orrori accaduti negli ultimi giorni. Ciò che mi interessa testimoniare però è il mio punto di vista, la mia personale prospettiva sulla vicenda, senza la pretesa che sia necessariamente giusta.
Al di là dell’escalation di violenza che si è verificata martedì credo che Guayaquil, e certe zone dell’Ecuador, siano teatro quotidiano di crimini e luoghi costantemente insicuri. Nei mesi che ho trascorso in questo paese mi è capitato spesso di discutere con le persone della situazione socio-politica del loro paese. Ho sempre cercato di non essere invasivo, ma di approcciarmi al dialogo con rispetto e con la curiosità di ricevere preziosi punti di vista. Per me è stato lacerante percepire la consapevolezza che tutte le persone hanno sulla situazione che sta attraversando il paese. Molti dei miei colleghi hanno il terrore di luoghi come Guayaquil, e temono per la loro incolumità ogni qual volta si organizza un meeting o una feria o un qualsiasi incontro di lavoro in città come Guayaquil. Credo che possa fare riflettere.
La gente dell’Ecuador è consapevole della bellezza del suo territorio, si accende una luce nei loro occhi quando possono consigliarti le meraviglie che offre il loro paese. E si percepisce l’assoluto rammarico quando sono costretti a dirti di stare lontano da tante località, afflitte da un malessere sociale che terrorizza. Ciò che voglio dire è che io sento costantemente notizie negative e di episodi violenti che si verificano in località come Guayaquil, al di là dell’escalation di questi giorni. Credo che sia un problema che si sta solo evitando di affrontare con l’adeguata efficienza e sistematicità, ma di cui c’è anche tanta scarsa e autentica informazione. So benissimo quanto sia stato forte e tremendo ciò che è avvenuto nella giornata di martedì 9 Gennaio. Mi è capitato di leggere molti articoli di testate italiane e straniere sui fatti di quel giorno, e devo ammettere di essere rimasto amareggiato dalla scarsa precisione di molti di quei articoli, molto tendenti al sensazionalismo gratuito. La situazione in Ecuador non è felice, ma Il Sole 24 ore parla di narcos che occupano scuole e ospedali in tutto il paese. Quando la situazione non è assolutamente questa.
La giornata di martedì 9 Gennaio è stata anomala e surreale sotto molteplici punti di vista. Le notizie tragiche si susseguivano rapidamente, i colleghi entravano in ufficio per riportare costanti aggiornamenti. Io ero estremamente intorpidito, perché non mi era chiaro in che misura fosse lecito agitarsi o iniziare a temere che la situazione potesse ulteriormente degenerare nel paese. Ciò che ricordo era una costante sensazione di confusione, in me e intorno a me. Ciò che ritengo più pericoloso in queste situazioni è esattamente la perdita della calma dovuta alla crescente sensazione di panico e confusione. Le notizie che giungevano erano impossibili da determinare come vere o false. Il numero di allarmi bomba per la città di Quito continuava a crescere, quindi si è giunti alla drastica decisione di rientrare tutti in casa e sospendere le attività lavorative.
Devo ammettere che gli scenari per le strade della grande capitale dell’Ecuador erano surreali. Tantissime persone riversate per le vie principali, colonne di macchine che avanzavano a stento, infinite attività che chiudevano o si trovavano in difficoltà nel chiudere perché prese d’assalto dai cittadini. Questo dicevo: il pericolo maggiore in queste situazioni è il panico o la confusione. Noi non capivamo nulla di ciò che stava succedendo, e non capivamo che conseguenze sarebbero scaturite da questa situazione. Aveva senso correre anche noi a fare scorta di viveri? La paura che ti pervade è quella di sottovalutare anche un semplice ma essenziale dettaglio.
Il rientro nelle nostre case è stato difficoltoso e per tutta la notte siamo rimasti in attesa di notizie e nuovi aggiornamenti. La verità, come vi dicevo, è che Quito è rimasta in una dimensione di totale tranquillità in questi giorni. Credo sia innegabile che la crescita di criminalità e violenza nel paese ha coinvolto anche la bella capitale dell’Ecuador. Le dimensioni gargantuesche di Quito impediscono che sia possibile attuare un reale controllo di sicurezza in tutto il territorio di questa vasta città, alcune zone periferiche sono morfologicamente difficili da gestire e totalmente in mano a cittadini non proprio modello. Insomma, l’insicurezza è un tema con cui è necessario confrontarsi quotidianamente a Quito, come in tutto l’Ecuador. Segnalo anche l’incremento di episodi di xenofobia o di un crescente razzismo. Noi siamo stati costretti a decidere di non far uscire i beneficiari dalla casa de acogida. Siamo consapevoli di come l’economia di molte famiglie dipenda dal lavoro diario in strada, ma non è possibile esporli al pericolo della situazione e al conseguente odio xenofobo.
Il razzismo è una piaga diffusa nella cultura dei cittadini dell’Ecuador, del resto, dal loro punto di vista, la maggior parte degli affiliati alle bande del narcotraffico è di origine colombiana o venezuelana. Inoltre, la maggior parte di queste bande viene proprio da territori come la Colombia, al seguito degli accordi tra il governo colombiano e i gruppi FARC, che hanno spinto tante organizzazioni legate al narcotraffico a lasciare il territorio colombiano in favore di un più agevole e fertile territorio ecuadoriano. Una delle conseguenze silenti di questi episodi e di questi eventi è quella di incrementare la macchina del razzismo e dell’odio sociale. In una situazione di confusione e spaesamento è facile puntare il dito contro ciò che proviene dall’esterno, è facile pensare che il problema non nasca da noi ma da fuori.
Penso che sia necessaria una riflessione, perché è solo riflettendo a fondo sui fenomeni, facendo luce laddove c’è buio, che si può iniziare a costruire una forma concreta di reazione sociale. Penso che questa sia l’ennesima occasione per l’Ecuador e per il mondo di riflettere sui tanti perché. Abbiamo visto che le cause e gli eventi dei fenomeni sono tante, la storia ce lo insegna con crudeltà ogni giorno. Tutto è aperto e complesso, come Quito, che riesce a confondere persino chi qui ci vive da una vita nel suo labirintico abbraccio. Il Narcotraffico oggi è una chimera che fa paura affrontare ma perché si è lasciato che crescesse indisturbata all’interno del territorio; si è lasciato che la paura e la corruzione dettassero concretamente legge in questo Paese per troppo tempo.
Io penso che l’Ecuador sia tanto altro. Penso che questo paese contenga dei tesori preziosi, fatti di architetture coloniali, culture indigene, tradizioni popolari, balli, meraviglie naturali. Io non credo che sia giusto che l’Ecuador sia conosciuto nel mondo prevalentemente per la violenza che si sta perpetuando nel suo territorio. La storia non conosce forme di giustizia, e la storia dice che oggi non posso parlarvi del fascino eterno di luoghi come Mindo o Papallacta, che non posso raccontarvi della festa della Mama Negra di Latacunga, ma devo soffermarmi sulla conseguenza di quelle terribili immagini trasmesse in tutto il mondo. In fondo è anche una nostra precisa responsabilità etica e morale renderci conto che la maggior parte degli introiti del narcotraffico sono di origine europea o nord americana. Questi drammatici eventi sono un’occasione per capire che tutti i nostri gesti hanno conseguenze e ripercussioni in tutto il mondo. Il nostro stile di vita consumista si fonda sul dolore e la violenza inflitti ad altri esseri umani, di cui non vogliamo sapere nulla. E oggi, forse, ci è toccato ricordare che è anche una nostra responsabilità.