Di Chiara Carlucci, Tena (Ecuador). Quando ero in Ecuador da qualche settimana, con alcuni compagni civilisti ci siamo posti la domanda: fino ad ora, qual è la cosa che ti ha colpito di più? Io ricordo molto vividamente la mia risposta: “le mani delle donne”! Ebbene tre mesi dopo riconfermerei la stessa risposta a quella domanda, riuscendo a fornire qualche dettaglio in più. Sì perché in questi tre mesi trascorsi a Tena, nell’Oriente ecuatoriano, ho avuto la meravigliosa opportunità di stare a contatto con tante donne delle comunità indigene kichwa, sia in momenti di lavoro che di meritato riposo.
È attraverso le minghe (giornate di lavoro comunitario, nel mio caso per la costruzione di orti), i talleres (giornate di formazione) e momenti di dialogo, che ho passato tempo prezioso con loro, apprendendo quante più cose potessi. Ho cercato, fin dall’inizio di osservarle delicatamente, di comprendere le sfumature dei vari comportamenti e di scoprire quali tradizioni e credenze muovessero i loro animi, e le loro mani. Perché sì, le mani ritornano sempre cruciali in questa riflessione: mani piccole, muscolose e spesso piene di terra. Esse riconducono, simbolicamente parlando, a quella che è la loro forza.
Per me, la donna è sempre stata imprescindibilmente legata alla forza: alla forza della sua intuizione, del suo cuore e del suo affrontare i cicli innati femminili. La vita di queste donne segue infatti i cicli naturali: le giornate seguono il ritmo della luce del sole così come i mesi seguono il ritmo della semina e della raccolta. Perché sì, le donne kichwa di cui sto parlando sono, per la maggior parte, agricoltrici. Sono le cosiddette chakra mamas, ovvero donne che possiedono e lavorano una chakra, un sistema agroforestale tradizionale dove si combina la coltivazione di alimenti di base, alberi da legname, alberi da frutto e piante ornamentali e medicinali.
Non si tratta solo di un pezzo di terra ma di un sistema essenziale per la sicurezza alimentare delle famiglie rurali (ma anche urbane), per la trasmissione dei “saperi ancestrali” accuratamente tramandati di donna in donna e per il generale benessere delle popolazioni indigene. Seppur una chakra venga data ad una donna solo dopo il matrimonio (che generalmente qua avviene tra i 20/25 anni, se non prima), per le donne costituisce uno straordinario mezzo di indipendenza, di orgoglio e di duro lavoro. Più volte sono rimasta a bocca aperta sentendo come le donne parlano della loro terra, o vedendo disegnare le loro chakras su un pezzo di carta, ricordandosi perfettamente il posizionamento di ogni coltura.
Senza cadere nel bucolico e ricordando che è prima di tutto un, se non il, mezzo di sostentamento principale, le chakra mamas sono indubbiamente un grande esempio di vita e, per ritornare al discorso iniziale, di forza. Sì perché, fatta eccezione per il martedì e per i giorni di ciclo mestruale forte, se la chakra è “vicina” (da 30 a 80 minuti di distanza) le donne ci vanno tutti i giorni e le cose da fare sono sempre tante: dalla siembra (semina) alla raccolta, dalla preparazione del terreno alla pulizia e così via. Oltre ad andarci quasi tutti i giorni ci vanno anche in quasi tutte le condizioni: quanti racconti che ho sentito di donne che per poco non partorivano nella loro chakra! Perché sì queste donne sono quasi sempre anche madri, mogli, nonne e donne di comunità e ognuno di questi ruoli implica una certa mole di impegni.
Però con meccanicità e concentrazione nel presente, fanno tutto quello che devono fare e te lo raccontano sempre sorridendo. Per molte donne indigene che ho conosciuto, nonostante la chakra sia un luogo di duro lavoro e di sopravvivenza, e allo stesso tempo un luogo dove liberare la testa e soprattutto dove smettere di pensare per un qualche ora. È anche un luogo dove scherzare ed essere allegri perché: “se vai nella chakra con pensieri negativi, le piante crescono male”, mi disse la signora Olga della comunità di Ongota.
Molte donne hanno inoltre voluto sottolineare come questo nido sicuro fosse prima di tutto un luogo di condivisione del tempo con la famiglia: dove i figli possono apprendere quanto più possono dalle madri e dalle nonne, prima che avvenga il passaggio di testimone. Ancora una volta tornano in ballo le mani delle donne kichwa, perché è proprio attraverso queste ultime che una donna anziana può passare il potere (ushay) alle figlie più giovani. È quindi attraverso queste mani tanto affascinanti che avviene il passaggio della conoscenza dei saperi della terra. Le mani tornano simboliche a rappresentare la loro storia, la loro saggezza: mani nella terra, mani con la terra e mani per la terra.