Ci vogliono sette vite, o forse di più, per affrontare questo servizio civile. Vi chiederete perché mi permetto di scrivere una frase come questa? Perché quest’esperienza è davvero intensa e impegnativa. Questo mese di aprile è stato particolarmente ricco di eventi. E’ il mese della Pasqua, delle via crucis, delle cerimonie, del monitoraggio di metà periodo, del mio compleanno. Insomma, questo mese come tutti i mesi è stato pienissimo, ma come tutti i mesi fantastico e io sono sempre più felice! Questo mese la relazione sarà piena di fotografie. Ho provato a selezionarle solo alcune, ma è stato impossibile, una foto trasmette molto più di una parola.
Ci vuole una vita solo per sostenere i chilometri percorsi durante le numerose vie crucis pasquali. Proprio così, chilometri di strada sterrata o asfaltata, vestiti come i personaggi principali della Bibbia, con una regista d’eccezione, davvero esigente. Eh sì, ci siamo sentiti chiamare più di una volta “riduculiiii”, oppure apostrofare “non capite niente!”.
Questi momenti ci permettono di instaurare un contatto più stretto e diretto con il quartiere che circonda il CEIPAR e con le persone con cui lavoriamo. Indimenticabili le prove generali prima dell’entrata in scena, una risata dietro l’altra e qualche tirata di orecchie dalla regia.
Ci vuole una vita per il pittoresco pranzo offerto dalle suore ai “borrachitos” e “drogaditos” per la ricorrenza pasquale. E noi potevamo mancare? Certo che no! A volte non importa se è sabato o domenica, quando c’è bisogno di noi, andiamo senza remore. Un momento piacevole da trascorrere con persone che non hanno molto, anzi forse nulla, che sono abituate a dormire per strada, che mangiano riso in una bustina di plastica, che usano i pochi centesimi che elemosinano per comprarsi un sorso di alcool. Forse non è la strategia migliore nutrirli, forse dovrebbero essere aiutati in altro modo. Ormai non mi pongo queste domande, la carità è una scelta semplice, umile e disinteressata. Le suore non possono garantire a tutti la salvezza e la guarigione, ma un sabato di svago e di piacere sì. Una delle mie professioni è stata quella della cameriera, mi piace servire gli altri e questa volta è stato un servire diverso, più vero. Una vera soddisfazione trattare queste persone con la dignità che altri non gli riconoscono e che anche loro hanno dimenticato.
Una vita mi è servita, lo stesso giorno del pranzo, per la “ballo terapia” con gli stessi borrachitos. Non potete immaginare le risate e la leggerezza di quel momento. Anche i numerosi cani, accompagnatori dei nostri ospiti, hanno ottenuto il permesso per entrare nel patio e assistere a questo momento speciale. La migliore ballerina in prima fila, sempre lei, la super mitica Sorse.
Una vita l’ho consumata nel meraviglioso viaggio-missione con Sorse e Suor Silvita alla Valle del Sade, nella provincia del Quinindè. Cinque giorni catapultate in un altro pianeta, sembrava quasi un altro Ecuador. Palmeti infiniti, vegetazione rigogliosa e prepotente, umili case di legno, piantagioni di cacao curate e fertili. Mi mancava un po' la natura, ma qui mi sono saziata. In queste comunità non ho trovato solo piante e verde, ho trovato affetto, ho trovato pace e tranquillità, che nella caotica e rumorosa Quito spesso scivolano via con le piogge. Di certo anche qui gli acquazzoni non si sono fatti desiderare e poi con i tetti di lamiera, tipici di queste case, sembrava di essere in una sala cinematografica durante la proiezione di Apocalipse Now; anche la voce acuta della Sorse veniva coperta dal fragore dell’acqua. L’affetto di cui accennavo prima è quello dei bambini, dolcissimi, entusiasti, molto diversi dai nostri “ceipariani”. Questi bambini forse hanno ancora meno, ma sono stati meno contaminati dalla noia e dalla monotonia della città.
Questi bambini sono genuini, pieni di energia, vogliosi di giocare, di cantare, di ballare; in una settimana sono tornata un po’ bambina. Mi sono sentita accolta da tutti. Basta pensare che il giorno dopo il nostro arrivo, ci salutavano e abbracciavano, chiamandoci, per la gioia di Giovanna (mai una gioia!), “hermanitas” o “madrecitas”.
Una vita l’ho usata per affrontare i viaggi nel porta bestiame dei furgoncini che ci traghettavano da una comunità all’altra. Vi lascio immaginare lo stato delle strade. Una comunità viene chiamata “La disgrazia” per colpa dei numerosi incidenti che si verificano e delle svariate sparizioni. Ma noi, che abbiamo una grande e coraggiosa maestra di vita, la Sorse, temerarie non facevamo altro che cantare e giocare con i bambini, che ci hanno seguite in tutti questi spostamenti.
Sola una vita è servita per salire sopra all’asino che ci ha portate al Popa, una comunità lontana, difesa da metri di fango e pozzanghere, difficili da percorrere per cittadine come noi. In un solo giorno ho imparato tanto da questi animali forti, resilienti e instancabili, capaci di farsi strada tra le pietre e di risalire ripidi pendii. Bellissimo! Nonostante i tempi cadenzati, le letture, le celebrazioni, le messe, le preghiere, le vie crucis, i pranzi con l’imbuto, è stato un viaggio meraviglioso, che non scorderò. Un viaggio che mi ha unito ancora più alle ragazze. Finalmente il nervosismo che a volte ci assale nella capitale non è riuscito ad entrare nel nostro zaino, ci siamo davvero rilassate. Ho pensato che queste comunità sembrano dimenticate da Dio e dal mondo, ma forse in verità è proprio qui che si incontra Dio, è proprio qui che si vede la realtà e la semplicità della vita. Ho chiesto alla Sorse se posso aprire una succursale del CEIPAR qui …
Con molto piacere ho speso una vita per affrontare il monitoraggio di metà periodo a Tena, Vitorchiano bis, ma senza focaccia. Tena per me ormai è un luogo familiare, dove ritrovo la famiglia allargata che da ottobre arricchisce la mia esperienza e il mio cuore. Credo sia stato un momento utile per tutti noi, il confronto di questi tre giorni mi ha permesso di conoscere ancora di più ciò di cui ENGIM si occupa e le opinioni, nonché i punti critici che tutti noi volontari abbiamo maturato nei nostri rispettivi progetti. Li ho visti diversi e più cresciuti i miei compagni. Una delle attività migliori è stato il confronto con le mie compagne, ricordare alcuni momenti importanti di questi mesi vissuti sempre a stretto contatto. Eh sì, perché devo proprio dirlo, rispetto agli altri gruppi, il nostro ha rievocato tanti momenti che ci uniscono anche fuori dall’ambito lavorativo. Io in questo gruppo credo molto, ho lottato per crearlo così solido e vero sin dall’inizio e questa volta è uscito tutto ciò che siamo diventate. Sono soddisfatta. Chiaramente, ora, quel cartellone è appeso nel nostro salotto, perché è sempre utile ricordare bei momenti e dirsi una volta in più che ci vogliamo bene.
Una vita mi è servita per festeggiare il mio compleanno, una giornata spettacolare! Prima il rafting nel Rio Napo, poi il papiro veneto-ecuadoriano, la cena con tutti i ragazzi. Quando mai potrò festeggiare così il mio compleanno? Forse mai e me lo sono goduto tutto. Devo dire che durante la giornata di sport di gruppo ho trascorso più tempo in acqua che sulla barca, bevendo litri e litri di acqua torbida, ma ne è valsa la pena!
Una vita se ne è andata per la commozione provocata dall’affetto che mi è stato dimostrato al CEIPAR dai bambini, dai ragazzini del collegio, dalle tias e dalle suorine. Sono stata festeggiata per giorni e giorni, credo di non aver mai mangiato tanti dolci, di non aver mai spento tante candeline. Quante lacrime versate in questi giorni. Che io sia una “sensibilona” questo è risaputo da tutti, ma questa volta le lacrime non sono state solo le mie. Alan dopo il mio ritorno dal Quinindé, mi è salito in braccio e stringendomi forte ha iniziato a singhiozzare. Io gli ho chiesto cosa fosse successo e lui mi ha obbligato a promettergli che non me ne andrò mai più così, senza dire niente e senza salutare. Pensava che fossi tornata in Italia ed era disperato … mamma mia! come farò a lasciarli! Mi toccherà piangere piogge ecuadoriane!
Una lacrimuccia però l’ho fatta scendere io quando Anthony mi ha detto che si è guadagnato un bel 10, il suo primo 10, per una storia inventata insieme, “Pepito il titere hablante”. Era felicissimo ed io con lui; lui per il voto, io perché lui era soddisfatto. Ad ognuno la sua soddisfazione. Li amo questi bambini. Li adoro.
Una vita la spendo tutti i giorni al CEIPAR, lavando i pavimenti delle aule, aspettando 15 minuti prima che Alan legga una parola o che Anthony riconosca il numero 6, cercando di far fare i compiti agli adolescenti del collegio, attenti solo al cellulare, obbedendo ai comandi frenetici e a volte incomprensibili della Sorse (Cumandi general Cumandi!), giocando a calcio e prendendomi spallate supersoniche. Eh sì, ora è questa la mia vita. Non so cosa farò quando tornerò, non so cosa mi riserverà il futuro, ma ora è qui tra questi bambini, tra queste mura pulite e colorate, insieme alle mitiche CEIPAR TIAS.
Ma una certezza c’è sempre ...