Di Luis Pellegrini. Questa sera sono arrivato al terminal di Manta. E’ il 28 Dicembre e domani viaggerò verso Esmeraldas per passare il capodanno a Monpiche. Scendo dall’autobus e mi dirigo verso un quartiere dove anni fa ho trovato un buon albergo economico vicino al mare. Cammino una ventina di minuti e arrivo nella zona che ricordavo. Tutto è completamente abbandonato e distrutto dal terremoto. Ho un momento di profonda tristezza e solitudine. Durante i Mondiali 2014 ricordo un strada felice con un mercato e molte attività commerciali e turistiche. Ora niente! Tutto raso al suolo! Continuo a camminare nel silenzio e buio assoluto. Le case sono crollate le strade sprofondate, nessuno in zona, nemmeno un cane! E’ una distesa di macerie abbandonate ed incustodite. Qualche militare quà e là dovrebbe vigilare la situazione ma sino ad ora i due che ho sorpassato dormivano beatamente accarezzati dalla brezza marina circondati dal silenzio assoluto. Scavalco le transenne e mi siedo in mezzo alle macerie ammirando la sconvolgente distruzione provocata da un evento naturale di questo tipo. Tutto è rimasto come quella notte del 16 aprile 2016 quando un terremoto di grado 7.8 ha fatto tremare per quasi un minuto gran parte dell’Ecuador. L’epicentro è stato localizzato nella zona di Pedernales, circa 200 Km da Quito. Il numero totale delle vittime, comunicato dopo giorni intensi di difficili ricerche, è di 670 morti, 3000 feriti e 30 mila senza tetto. L’Ecuador si trova tra due placche tettoniche in movimento. Ha subito vari terremoti di magnitudo elevata: nel marzo 1987 morirono oltre mille persone. La zona di Manta quest’ultima volta è stata la più colpita. La maggior parte delle vittime è stata infatti nel Manabi (oltre 200 a Manta). La cittadina turistica più colpita, Pedernales, è andata distrutta tra il 70 e l'80% e per diversi giorni è stato impossibile l'accesso via terra a causa dai gravi danni subiti dalle strade che collegano il resto del territorio.
La città Manabita era una città giovane e vivace, con molte infrastrutture turistiche e commerciali. La distruzione ha annullato la crescita degli ultimi anni. E’ caduta la torre di controllo dell’aeroporto, sono andati distrutti diversi importanti edifici, parte del porto e interi quartieri, soprattutto vicino la spiaggia, sono stai rasi al suolo.
La realtà è drammatica, troppe persone sono ancora fuori casa e le strutture pubbliche sono in parte ancora inagibili.
Ricordo perfettamente la bella impressione che mi aveva fatto la città prima del terremoto. Tra le strade uno slogan di buon augurio rimbalza in ogni angolo e in ogni dove. Mi rassereno: Manta se Levanta! E si rialzerà!
Nella ripida Cochapamba il lavoro procede. Sono ormai passati due mesi dal mio arrivo in Ecuador. Ho avuto tempo di conoscere le persone che frequentano il centro. Credo di aver trovato un ruolo abbastanza definito. Sono tranquillo e consapevole di quello che posso dare e quello che potrò ricevere. Ho molto da imparare a livello didattico nel doposcuola, ma vedo che i ragazzi mi seguono. Per esempio devo comprendere in che modo risolvono le divisioni con i decimali. Tolgono e mettono virgole, scrivono numeri su altri numeri, cancellano e riscrivono ma, il risultato, in ogni caso, è spesso sbagliato.
La raccolta fondi organizzata è andata molto bene. Abbiamo raggiunto il principale obbiettivo pagando le tasse scolastiche ai nove bambini più in difficoltà. I fondi sono stati raccolti attraverso concerti, aperitivi, vendita di calendari e stampe di fotografie. Abbiamo compreso come un ruolo importante del volontario in servizio civile sia quello di sensibilizzare e informare creando ponti e reti tra persone interessate e volenterose. Le realtà che lavorano in situazioni di rischio ed emarginazione hanno spesso bisogno di appoggio esterno; economico e di risorse umane o conoscenze. La prossima raccolta si potrà preparare meglio, per arrivare a più persone, magari avendo un obbiettivo più specifico e strutturato (come costruire una casa alla signora Maria). Nell’ultimo mese ho iniziato a girare per il “barrio”, vado a salutare persone in difficoltà e porto il pranzo a qualche persona. Alle 12:20 scendo a prendere i bambini della scuola di Cochapamba Nord, mentre alle 13:00 salgo verso il Sud, all’Escuela Unione Sovietica dove escono gli ultimi bambini. Mi piace comprendere il barrio e le famiglie dei ragazzi. Mi è indispensabile per conoscere ognuno di loro e divertirmi. Tra qualche giorno si tornerà al servizio: Cochapamba Vive!