di Pietro Freddi, Medellín (Colombia). Alla Sierra la musica si respira tanto quanto l'aria fresca, qui in alto si riesce a respirare a pieni polmoni, invece quando si scende in città è come avere un coperchio sopra la testa che tappa, la musica invece si respira appieno pure giù. Gli stretti vicoli del barrio si nascondono nel susseguirsi di case senza intonaco. Sotto i piedi scalini, tanti, forse troppi, ma per chi non va in palestra è un ottimo sport. Nell'andare delle mie settimane incontro molti visi, tutti hanno disegnate delle folte rughe per mano del lavoro della terra. Sono contadini e contadine che aspirano al nuovo, in costante ricerca di una visione che possa portare una vita più dignitosa a chi sta crescendo dopo di loro. Hernan mi dice, "Voglio essere io a decidere se posso comprare un regalo per il compleanno di mia figlia, non il mio portafoglio o chi altro che non paga il mio lavoro".
Faccio delle interviste per capire quali siano i bisogni dei singoli agricoltori. Parliamo dei bisogni di ognuno, delle aspirazioni, delle paure, di cosa significhi il caffè per loro e le rispettive famiglie. L'associarsi, qui nel barrio la Sierra, viene percepito come una protezione, l'idea che l'unione fa la forza, poi per quando si affronta il tema di fare una marca di caffè comunitaria, qualsiasi forma di dubbio si legge nei loro occhi. Le frontiere invisibili fra barri, parte integrante della storia colombiana, sembrano aver attecchito nel nella mentalità della popolazione. Aiutarsi sì, lavorare insieme porta sicuramente ad un conflitto, questo è quello che sostengono. Ascolto i loro pensieri. Le paure sono molte, i muchachos, come li chiamano qui, hanno pieno controllo di qualsiasi movimento, chi si amplia, paga il pizzo. Motivo in più per non associarsi troppo. Rimango curioso non solo di storie, ma di quanto il mondo del caffè sia complesso e variopinto. Proveremo a fare il vino.