Di Leonardo Braca, Montero (Bolivia). Essere volontario di Servizio Civile Universale, per me, è un misto di emozioni e sensazioni: è allo stesso tempo un qualcosa di enormemente e profondamente desiderato e di straniante e dirompente. Sin dai primi giorni di pubblicazione del bando, infatti, ho sperato con forza di essere selezionato, soprattutto, poi, una volta individuato il progetto per il quale fare domanda (nel mio caso “Caschi Bianchi per la protezione delle risorse naturali e delle comunità locali in BOLIVIA ENGIM-DE LA SALLE - 2023”). Ma lasciare la propria casa e i propri affetti non è facile e l’idea di vivere e lavorare all’estero per quasi un intero anno, per quanto certamente eccitante, può anche essere fonte di enormi ansie. Partire significa lasciare dietro di sé una vita che continua a scorrere e ad andare avanti anche senza di te; significa, però, anche iniziare un nuovo emozionante percorso. La partenza è in sé un momento particolare, forse il primo passo concreto di questo nuovo cammino verso la crescita personale.
E adesso che sono a metà Servizio si può pensare di trarre qualche conclusione. Adesso che l’idea del ritorno inizia a farsi cronologicamente più vicina (non è più possibile, d’altra parte, dire «Torno l’anno prossimo!»), c’è un timido e istintivo tentativo di immaginare un dopo. Nulla di troppo concreto e soprattutto, in perfetto stile boliviano, definitivo: manca ancora tanto tempo e i mesi che mi separano dal volo per Roma saranno pieni di impegni, lavoro ed emozioni. Insomma, non è ancora, in fondo, il momento di iniziare a pensare al ritorno, ma è invece l’occasione per riflettere e ripercorrere, quasi come in un diario (mentale, certo) quanto mi sono trovato a fare, catapultato in una realtà come quella di Montero, Bolivia, e quanto sono cambiato.
La prima parola che mi viene in mente se penso a Montero, ma forse può anche applicarsi al Servizio Civile Universale più in generale, è “adattamento”. A tutti noi -credo- è stata richiesta grande flessibilità e soprattutto la capacità di adattarsi a un nuovo contesto, a una realtà talmente diversa e lontana da quella a cui si è abituati in Italia da richiedere un profondo ripensamento di sé e delle proprie abitudini. La città è calda e umida (molto calda e molto umida), piuttosto sporca e rumorosa. C’è sempre molta terra, che si insinua nelle stanze, attraverso ogni fessura, e tanti insetti in ogni dove. E poi gli odori particolarmente forti: al mercato, come in strada e in giardino. Il più inaspettato (ricordo ancora la prima volta che lo sentii) è quello dovuto alla fermentazione della canna da zucchero, utilizzata in gran quantità nel vicino ingenio azucarero Guabirà, il più grande del Paese. Un odore penetrante, dolciastro e acre allo stesso tempo, che arriva all’improvviso e ti colpisce in modo del tutto inaspettato le narici. Ci si abitua, certo, ma le prime volte erano sempre una piccola sofferenza a cui non era possibile sfuggire. Il Servizio Civile Universale richiede quindi di adattarsi e a me ha chiesto in particolare di allentare un po’ una certa rigidità: in Bolivia i tempi sono quello che sono. Gli orari degli appuntamenti difficilmente vengono rispettati, gli incontri con autorità e beneficiari iniziano sempre in ritardo (la cosiddetta hora boliviana). E anche a questo bisogna abituarsi, un altro tassello che si aggiunge a tante scomodità e difficoltà.
Ma il Servizio Civile Universale è anche poter fare qualcosa e vedere il risultato del proprio lavoro con i propri occhi, pur sapendo che a volte il proprio contributo è solo un piccolo pezzo di un insieme più grande, un ingranaggio di un macchinario che nasce prima del tuo arrivo e continuerà a funzionare anche e soprattutto ben dopo la tua partenza. E su questo in formazione tutti sono stati molto chiari: il civilista migliore è colui che lascia le condizioni più adatte perché chi viene dopo possa inserirsi e lavorare con facilità, senza rallentare i progetti e le attività in favore della comunità locale. Adesso che col nuovo anno tutta una serie di nuovi progetti ha inizio, comincio davvero a comprendere cosa ciò significhi: corsi e programmi che, come minimo, termineranno non prima del prossimo anno, dovranno essere avviati perché siano i nuovi civilisti, insieme ai beneficiari, a coglierne i frutti migliori al momento opportuno. Il Servizio Civile Universale è infine anche un’occasione per riflettere su stessi e in senso introspettivo, per analizzare il proprio stile di vita e le proprie scelte, il tutto mentre si lavora al fianco di comunità e persone nei più disparati contesti.