Di Carlo Mondani, Valona (Albania). Da quando sono arrivato quattro mesi fa a Valona, Albania, ammetto di sentirmi molto fortunato. Solitamente, il sole splende sulla baia, illuminando il promontorio di Karaburun fino a toccare l’isola di Sazan. Volgendo lo sguardo dall’orizzonte verso le immediate vicinanze dell’abitazione, la vista dalla finestra della camera mostra anche numerosi cantieri, destinati principalmente alla costruzione di nuovi palazzi residenziali, a scapito delle costruzioni informali attualmente presenti. Gradualmente, gli abitanti sono invitati, o costretti, ad abbandonare le proprie abitazioni, a causa della progressiva crescita economica della zona prodotta dal turismo. Dinanzi a questo scenario, mentre finisco di sorseggiare il caffè mattutino, si rinnova dentro di me la consapevolezza di essere veramente fortunato, potendo contare su una sistemazione stabile e su una disponibilità economica sufficiente per una vita più che dignitosa.
Uscendo da casa per dirigermi verso l’ufficio di Auleda, l’agenzia di sviluppo locale presso cui sto svolgendo il mio anno di servizio, è ormai evidente il passaggio di consegne tra l’estate e i mesi autunnali. Si assiste ogni giorno sia al brulicare di bambini e ragazzi, complice l’inizio della scuola, sia alla progressiva diminuzione di turisti stranieri, nonostante le temperature ancora miti. Intorno, le strutture turistiche chiudono per imprecisati giorni di ferie, mentre ristoranti, panetterie e bar sono presenti in ogni via, indicando un progressivo ritorno alla quotidianità della popolazione locale. Proprio il panettiere è un mio personale punto di riferimento per l’acquisto del pranzo, solitamente un byrek, una sfoglia riempita di spinaci, pomodori, carne o formaggio. È curioso evidenziare come cambi l’approccio a seconda dell’interlocutore: se giovane, è possibile conversare in inglese, altrimenti è preferibile tentare con qualche parola di albanese o di italiano. Tale differenza rappresenta una netta separazione storica tra chi ha vissuto la dittatura comunista e chi no, poiché le persone hanno appreso la lingua italiana grazie alla visione, illegale all’epoca, dei canali tv italiani, considerati un vero e proprio momento di libertà dal controllo del regime.
Una volta arrivato in ufficio, mi dedico a supportare i colleghi dello staff di Auleda nella scrittura e nell’implementazione di progetti di sviluppo locale nel territorio albanese. Auleda è un’agenzia presente in Albania da più di vent’anni e organizza, monitora e realizza attività a sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione, quali giovani e donne, delle piccole-medie imprese e delle pubbliche amministrazioni locali. L’inclusione di tutti i potenziali beneficiari all’interno di una determinata azione è un requisito essenziale di ogni progetto promosso da tale organizzazione, in modo tale da favorire la sostenibilità e la resilienza della comunità nel lungo periodo. Attraverso questo metodo, si mira a combattere l’esclusione dei gruppi sociali più vulnerabili e la migrazione verso l’estero da parte dei giovani, attraverso un miglioramento della qualità della vita delle persone. Tra le attività a cui ho prestato assistenza, ho monitorato la realizzazione di un festival culturale realizzato nell’area di Kavajë, il quale mirava a promuovere il patrimonio artistico, artigianale e culturale della regione grazie alla partecipazione di artigiani locali e delle pubbliche amministrazioni presenti sul territorio.
Personalmente, è un’esperienza affascinante e stimolante, dati anche degli obiettivi molto ambiziosi posti dall’agenzia. Ma il fattore fondamentale non è la crescita professionale cui questa esperienza sta certamente contribuendo, bensì la crescita umana. Infatti, essere un rappresentante italiano all’interno di uno staff interamente albanese rappresenta un’opportunità unica di arricchimento sul piano personale. In particolare, non mancano le conversazioni durante le pause pranzo con i colleghi, in cui si discute di attualità, curiosità e abitudini, talvolta simili e altre volte opposte alle nostre.
Dopo l’orario di lavoro, frequento due volte a settimana un corso di lingua albanese, al fine di apprenderla ed utilizzarla al meglio. La lingua è molto difficile, bisogna ammetterlo, ma ho notato che tutti rivelano un sorriso nel momento in cui si tenta di comunicare nella loro madrelingua. Del resto, i valonesi hanno la fama di burberi e diffidenti, ma col passare del tempo, nel momento in cui la conoscenza diventa maggiore, si aprono sempre più al dialogo, scherzando e offrendo assistenza per qualsiasi necessità. Come la nostra insegnante di lingua, la quale, essendo noi alla ricerca di un accessorio per la casa, si è immediatamente prodigata a chiamare alcuni conoscenti alla ricerca del bene in questione. Un gesto semplice e genuino, eppure totalmente sorprendente ai miei occhi.
Infine, si ritorna a casa, stanchi per la giornata lunga ma al contempo produttiva, accompagnati dal tramonto all’orizzonte. La sensazione finale è che non sembra vero siano passati quattro mesi, il tempo sembra volare, in contraddizione con la filosofia per cui tutto in Albania procede lentamente (o meglio, avash avash). Anzi, tutto è in costante mutamento, il che alimenta il mio spirito di iniziativa e curiosità verso un paese che ha ancora tanto da rivelare. Io sono pronto e impaziente di sapere cosa mi capiterà, cosciente che un altro giorno è prossimo all’arrivo.