Di Stefania Pusateri e Margherita Campaci. Sono passati cinque mesi dal nostro arrivo in questa piccola cittadina che, per molti, è soltanto un passaggio obbligato nella rotta che da Tirana porta al mare del sud. Noi, invece, a Fier ci viviamo, l’abbiamo scelta e rischiata, tra lo stupore di chi ancora domanda “ma che ci fate lì?”. Si, ci viviamo, a luglio abbiamo indossato una maglietta con scritto volontarie ENGIM e non ce la togliamo più, neanche quando sembra difficile abituarsi all’idea di calpestare sempre le stesse poche strade, o quando appare impossibile incontrare volti nuovi. Ce la teniamo bene stretta però, perché Fier è tanto altro e noi lo sappiamo.
Ce ne rendiamo conto quando entriamo in una scuola, emozionate dal non essere più sedute dietro i banchi di un aula che spesso ci ha viste assonnate. Stavolta no. “Marghe come facciamo? Stefy anche tu hai un po' d’ansia?”. La speranza condivisa è quella di riuscire a concentrare l’attenzione di quelle ragazze e quei ragazzi che un giorno costruiranno il presente di questo Paese. Li guardiamo con questa consapevolezza, cercando di restituire la delicatezza delle professoresse che anche voi da giovani ammiravate, quelle che si ricordavano molto bene com’era essere giovani, affamati di nuovo, di sconosciuto e di attenzioni.
Della bellezza di indossare questa maglia ce ne continuiamo a rendere conto anche durante la ricreazione, quando, sorridenti, i ragazzi e le ragazze provano a metterci a nostro agio, pronunciando le poche parole italiane che conoscono, ci provano in inglese, ci provano goffamente riproducendo qualche stereotipo o ripetendo una battuta sentita chissà dove. Lo leggiamo nei loro occhi quel senso familiare di gratitudine che non ha bisogno di parole e cerchiamo di restituirlo con il veicolo di comunicazione più bello che si possa sperimentare: un abbraccio.
Gli “sbruffoncelli” non mancano di certo all’appello nella lunga lista delle personalità che abbiamo incrociato duranti i laboratori nelle scuole ma anche qui, ricordarci come eravamo, quando sedute al banco non ci volevamo proprio stare, ci ha aiutate ad accogliere anche le situazioni più improbabili, a farne gioco, un momento collettivo di relax prima di riprendere l’argomento. Ma forse stiamo dimenticando di spiegarvi qualcosa. Avremmo potuto scegliere centinaia di argomenti attraverso i quali restituirvi uno spaccato dei nostri quotidiani o di questo contraddittorio Paese e delle sue solide tradizioni ma abbiamo scelto quello che più di ogni altro ci ha messo in contatto con la “costruzione”.
Costruire significa per noi pazienza, costanza, interazione, comprensione e ascolto. Da qui la proiezione di costruire, insieme a centinaia di ragazze e ragazzi (anche al primo ciclo di istruzione primaria) un metodo didattico non-formale, partecipato e divertente che potesse mettere insieme i temi della diversità e della costruzione di una società più solidale. Questo obiettivo si è concretizzato in un percorso formativo al termine del quale, in occasione della giornata del 10 dicembre, insieme con altre realtà aggregative ed associazioni locali, abbiamo festeggiato i valori dell’inclusione sociale e della diversità. Internazionalmente riconosciuta come la giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre in Albania si veste di un ulteriore significato: la tolleranza. Insieme abbiamo riflettuto molto su questa parola terminando sempre con il dire “non mi piace molto”.
Non diciamoci sciocchezze, si tollera un rimprovero ingiusto solo per quieto vivere, si tollerano i ritardatari, si tollera il pianto disperato di un bambino. Non ci sembrava un granché da festeggiare. L’Albania ci ha mostrato però il senso più profondo che la tolleranza porta con sé, quel senso che non si riduce alla sopportazione, - Ah ecco è la sopportazione la prima cosa che ci è sempre ritornata alla mente - impariamo che si declina nel rispetto, dell’indulgenza più intima nei riguardi di idee, convinzioni e atteggiamenti altrui, soprattutto se in contrasto con i nostri. Un bel da fare no?
Riteniamo che dentro questa interpretazione ci sia in realtà molto da festeggiare e che ci suggerisca un allenamento costante indirizzato ancora una volta alla costruzione di un vivere più empatico. Per rendere ancor più sostenibile il nostro intento ed estenderlo ad un tentativo di costruzione democratica attenta agli interessi delle sue cittadine e dei i suoi cittadini, in grado di coinvolgere sempre di più i principali attori della società civile, abbiamo reputato imprescindibile il coinvolgimento di chi, proprio delle istanze cittadine è custode e portavoce, il municipio di Fier.
Tramite il progetto ANTTARC dell’Unione Europea, indirizzato all’inclusione scolastica dei bambini e dei giovani adulti della comunità Romanì, abbiamo aperto le porte dell’amministrazione pubblica alla popolazione Rom di Drize, rendendoli protagonisti e portavoce degli interessi della comunità tutta. È stato motivo di orgoglio vedere i ragazzi presenti esporre in maniera chiara, decisa e consapevole i problemi delle loro aree abitative, i loro desideri, anche semplicemente il loro punto di vista. È stato emozionante osservarli fieri, compiaciuti per il lavoro svolto nei precedenti mesi. Finalmente determinati a far sentire la loro voce, senza essere strumentalizzati. Speriamo che anche questo sia solo l’inizio di un percorso di consapevolezza che li potrà rendere un giorno attenti difensori dei loro diritti, diritti che riguardano tutti e tutte ovunque, qui in Albania, al di là dell’Adriatico, o dove ci si dimentica che in fin dei conti è la solidarietà a salvare il mondo.