Di Nicoletta Biga. È stato un mese di ritorni a casa, di ripartenze e di ritorni; dentro e fuori di me. Di vista dall’alto, di quello che si sta costruendo, ma anche dal basso, verso quello che ancora c’è da fare. Di stanchezza, di sorprese, di consapevolezza.
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Sono stata in Italia una settimana, dopo quattro mesi. È stato bello, ma quasi come se non fossi mai partita. È incredibile come la società in cui siamo nati sia in grado di inglobarci e renderci incapaci di raccontare. L’Albania non riusciva ad uscire dalle mie labbra e nessun orecchio sembrava essere pronto per ascoltare.
Il caffè mi è stato servito senza dover aspettare venti minuti, ma nessun mio compaesano si è fermato a chiacchierare con me o mi ha chiesto come stavo, usando, almeno, cinque modi diversi per esprimersi.
La cosa che più mi affascina del vivere in un altro Paese è che piano piano si diventa parte di quel luogo. Si è un allievo che impara senza dover studiare. Come a scandire i propri ritmi di lavoro secondo la luce del sole. Gli occhi imparano, ma non si abituano, a vedere una famiglia di cinque persone che vive in un'unica stanza e che sorride alla vita, nonostante tutto.
Si impara che se la luce va via e per ore non ritorna, non è un problema, le candele sono nel secondo cassetto dell’armadio. E se l’acqua arriva solo alle 22 , con la doccia di sera bel tempo si spera.
Quando organizzo attività che “MariaMontessoriscansati” mi insegnano che nulla potrà mai battere “apa dollapa” (nascondino). Imparo anche che il sushi è buono, ma il byrek me mish (byrek con carne), di più. Che i clown del gruppo VIP hanno fatto della mia vita per molto tempo, ma ora io non sono più una di loro e che in fondo, va bene così.
Imparo che è bello partire per poi ritornare. Imparo, o meglio, devo imparare che la mia identità và custodita e protetta. Che si può essere piuma, ma è importante anche essere sasso.
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