Di Alice Bianchi. Si dice, di solito, “educare al bello”, ovvero: creare un posto bello genera bellezza a sua volta, vivere nel bello genera benessere, crescere nel bello significa crescere più leggeri, più felici.
Solo questo volevamo per i ragazzi della comunità Rom di Drize, a Fier (Albania). Volevamo uno spazio più accogliente, più luminoso, più colorato, volevamo vederli con la voglia di “restare” al doposcuola e non di scappare via.
Non ci è voluto molto, spesso il passo più difficile è decidere di farlo, è iniziare. Il resto viene da sé.
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Ma non è del tutto vero che basta questo, ci vuole la voglia di sporcarsi le mani, la voglia di mettersi al servizio. E così, approfittando della presenza di Marco La Rocca, giovane artista italiano e di tutti i volontari ENGIM in Servizio Civile e Servizio Volontario Europeo (che in un fine settimana hanno deciso di mettere a disposizione il proprio tempo libero), si è iniziata l’opera dal titolo Ederlezi. Un drago che sputa arcobaleni. Un murales di quasi 20 metri per un’altezza di 2,5.
Tutta la comunità ha partecipato, i bimbi pulivano e scrostavano i muri, i più grandi si destreggiavano con pennelli e bombolette, i volontari distribuivano piatti di pasta al ragù.
Il drago gipsy, colorato, circondato da fiori è ispirato alla cultura Rom e celebra la primavera, la fioritura, la rinascita. Il 6 maggio si festeggia infatti l’Ederlezi, si tratta di una festa molto sentita dai Rom nei Balcani e in ogni parte del mondo, a prescindere dalle connotazioni religiose dei vari gruppi.
Ederlezi è anche il brano folkloristico “romaní” probabilmente più noto al mondo, soprattutto grazie alla versione realizzata dal musicista Goran Bregović.
Il termine Ederlezi designa in lingua romaní la festa di San Giorgio, il santo che uccise il Drago.
Ma questo drago gipsy è un drago che vive, che rinasce e che colora, è un drago che sembra dire: sono potente, ma non faccio del male, dopo la pioggia, (che qui a Fier arriva impalcabile quasi ogni giorno) esce sempre il colore.
Nei due giorni successivi adulti e bambini della comunità entravano per ammirare il disegno che emergeva dalle pareti, un disegno che Marco faceva con loro e per loro, entrando in punta di piedi nella loro terra, nella loro realtà. Tutti ci circondavano sorpresi, facevano domande e si fermavano estasiati, qualcosa li attirava, forse proprio il fatto che la loro comunità si stava riempiendo di colore, di musica, di anima.
Prima di salutarci il commento, immancabile, all’artista: complimenti alle tue mani!
Si dice che “Educare al bello significa aprire gli occhi verso qualcos’altro da noi che ci arricchisce, riempie, completa, che ci fa crescere oltre i nostri confini. Si dice che significhi educare all’ascolto, all’attenzione, all’incontro, alla consapevolezza. Si dice che significhi coltivare in ognuno di noi la voglia di preservare, ed emulare ciò che riteniamo bello.”
Bellezza, solo questo volevamo per i “nostri” ragazzini Rom.
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