Di Michele D’Alessio. Il 13 novembre scorso, partendo per Vitorchiano, andavo incontro ad una nuova, unica, eccezionale avventura priva di precedenti nella mia vita. Sapevo che sarebbe stato il giorno in cui, come un bambino, avrei mosso i miei primi passi verso la vita che ho sempre desiderato vivere e che per anni non avevo avuto il coraggio di intraprendere.
Coraggio, certo. Mi piace molto questa parola. Penso che sia proprio il coraggio a muovere il mondo: coraggio di scegliere, coraggio di cambiare, coraggio di crescere. Così ho avuto il coraggio di licenziarmi, di svincolarmi da quelle che per sette anni erano state le mie uniche certezze - un lavoro e il denaro -, di rinunciare alle mura di ipocrisia e malcontento in cui mi sentivo imprigionato e di abbandonarmi completamente all'idea di vita che mi aveva da sempre affascinato: quella vissuta al servizio degli altri.
Ho da subito percepito aria di libertà. Era come se solcassi un terreno nuovo, soffice, che - ne ero sicuro - si espandeva all'infinito mostrandomi più di cento strade, più di mille opportunità irripetibili che dovevo assolutamente cogliere. Ero cieco e sordo di fronte al mondo ma, peggio ancora, di fronte a me stesso. Lo so, potrebbe sembrare banale, é un po' quello che dicono tutti, ma io davvero mi sentivo così - vuoto e insoddisfatto allo stesso tempo - così ho scelto, con coraggio, di buttami in questa nuova avventura.
Avventura che come ho accennato è iniziata lo scorso 13 novembre, quando sono partito per Vitorchiano per il corso di formazione e che da qualche settimana, da quando cioè sono arrivato a destinazione, mi ha già letteralmente sconvolto l'esistenza. Ma una cosa alla volta. A Vitorchiano ho conosciuto ben 55 ragazzi che come me hanno scelto di inseguire i propri sogni. Sono dell'idea che ciascuno di noi abbia bisogno di inseguire i propri sogni, di cercare qualcosa di buono e di vero che, come canta Zucchero, possa "illuminare il cielo”: beh, essere volontari significa proprio questo. Essere volontari significa mollare tutto, armarsi di un sorriso e di tanta fiducia nel prossimo e soprattutto cercare il bambino interiore che è dentro ciascuno di noi, avere il coraggio - ecco la parola magica - di ritrovarlo e di rimetterlo in volo senza più paura di cadere.
E' pazzesco come quei 10 giorni di formazione possano insegnare a fare tutto questo e a far percepire emozioni e sensazioni sopite, o forse mai provate fino a quel momento. 10 giorni che hanno permesso a perfetti sconosciuti di conoscersi e di mettere a confronto le varie realtà d'Italia d'appartenenza. 10 giorni in cui ognuno di noi ha sperimentato lati di sé che non pensava di avere. Io per esempio ho riscoperto un'energia e una sete di conoscenza che non credevo potessero dimenarsi così voracemente dentro di me: il tempo passava ed io cercavo di acchiapparlo, di frenarlo; mi interessava ascoltare le storie e le avventure degli altri, anzi credo che il primo grande insegnamento siano stati proprio il confronto e l'ascolto reciproco.
A volte abbiamo una visione della vita un po' limitata. Abbiamo l'illusione che l'unica strada percorribile sia la nostra solo perché non ne conosciamo delle altre. Ma quando poniamo noi stessi con il corpo e con la mente di fronte ad un confronto, stiamo già crescendo ed ampliando il nostro bagaglio di vita: ecco che quella che prima era l'unica strada possibile si dirama in tantissime direzioni, dando a noi la possibilità di scegliere e di fare quel salto verso il futuro che riteniamo migliore. Vitorchiano mi ha insegnato veramente tanto.
Mi ha permesso di riflettere su chi sono e su cosa sono realmente in grado di fare. Una delle più belle scoperte è stata capire che le persone più interessanti che ho conosciuto lì sono state proprio coloro che raggiunta l'età adulta, ancora non sanno cosa fare della loro vita. Sembro ironico ma non lo sono affatto. Anzi, queste persone mi hanno permesso di superare le mie paure, di non farmi intimorire dal mio futuro che galoppa ogni giorno di più, talvolta riversando nel mio animo ansia e paura, di avere più fiducia in me stesso.
"Ho corso nel buio di una ferrovia, camminando nei sentieri più oscuri ma finalmente oltre le mura della mia città natale ho trovato i sorrisi più sinceri". Potrei continuare descrivendo le mie giornate vissute in compagnia degli altri volontari: gioia, felicità, tristezza per averli dovuti salutare, entusiasmo per l'inizio del mio vero e proprio viaggio. Tutto questo si è mischiato e amalgamato in una serie di stati d'animo che trovo difficile descrivere adesso. Preferisco soffermarmi su ciò che ha invaso il mio cuore e di come l'addio a quei compagni di corso mi abbia dato la giusta carica per affrontare la nuova società di cui ho cominciato a far parte dal 23 novembre.
Mi trovo in Albania, Paese di cui non conosco assolutamente niente. Un Paese i cui usi e costumi, così diversi dai nostri, mi intrigano parecchio. Le ragazze hanno un senso molto spiccato per la famiglia e tengono particolarmente alle relazioni. Lo so non perché ne ho frequentata qualcuna - non ancora - ma perché mi hanno spiegato che gli appuntamenti qui funzionano diversamente dall'Italia: chiedere un caffè per esempio significa uscire assieme e comunicare alla fortunata che piace un bel po' e che si è interessati ad una conoscenza più approfondita e, per così dire, molto seria.
Quante coppie sarebbero nate in Italia con tutti i caffè che ci beviamo noi? Questo resta un interrogativo molto curioso per me, ma andiamo avanti. La città si chiama Fier e devo ammettere che mi piace molto. E' una cittadina simpatica, molto semplice e sobria; ci sono molti alberi e l'aria di spontaneità che respiro qui mi mette sempre di buon umore. Ho conosciuto pochi albanesi finora e ovviamente ho trovato difficoltà nel comprenderli: che lingua difficile l'albanese! Però l'altro giorno mi è capitata una cosa strana. Ero in compagnia di un ragazzino albanese e di un altro volontario, Marjus, con cui per sua fortuna condivido la camera (abbiamo già raggiunto una complicità tale da mettermi nella posizione di prenderlo in giro quando posso); il ragazzino parlava, parlava, parlava, ed io ovviamente non lo capivo. Però poi ha detto due parole in inglese: natale e Italia. In quel momento ho capito che mi stesse chiedendo "tornerai in Italia durante le vacanze di Natale"? e Marjus (ho dimenticato di dire che è albanese), è scoppiato a ridere chiedendomi come avessi fatto a capirlo. In realtà continuo a chiedermelo anche io. Una cosa è certa: sono riuscito a stabilire un rapporto di comunicazione con quel bambino e non vedo l'ora di mettermi alla prova con tutti gli altri bambini del centro Murialdo con cui dovrò lavorare.
Sento davvero che questa era l'esperienza che aspettavo, quella che mi stravolgerà la vita. Noi volontari non siamo qui per rivoluzionare il mondo, ma per portare quel piccolo contributo di cui il mondo ha bisogno per essere rivoluzionato. Noi volontari siamo qui per posare il nostro piccolo tassello senza il quale l'intero puzzle non avrebbe senso, per costruire insieme la nostra visione del mondo di uguaglianza e di solidarietà. La verità è che ci fa paura l'idea di scomparire, l'idea che tutto quello a cui ci aggrappiamo prima o poi possa svanire, e state sicuri che è così, scomparirà tutto: i soldi, la macchina nuova, quel vestito o quel paio di scarpe, quella casa di cui si continua a pagare il mutuo da oltre trent'anni.
Ma c'è una cosa che non scomparirà: l'amore donato al prossimo. Per me questo non è solo un lavoro di volontariato (sembra un'antitesi ma non lo è), bensì uno strumento valido per mettermi al servizio degli altri e per scoprire quel cammino interiore che è sempre percorribile quando si ha fede. Fede in se stessi e nella vita. Commetteremo molti sbagli ma non saranno mai degli errori, d'altronde siamo solo un gruppo di ragazzi con un sogno nel cuore … cosa potremo mai combinare? Abbiamo un tetto comune sotto cui vivere, una chitarra e tante risate. Abbiamo tutto. Consapevole di ciò che sarò in grado di fare con l'aiuto dei miei compagni e amici, posso solo dire: avanti, avventura!