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L'EDUCAZIONE: IL VERO MOTORE DELLO SVILUPPO PERSONALE

10 Diciembre 2015
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Di Alessandro Pierciaccante. Sono trascorsi più di due mesi dal nostro arrivo in Ecuador, del nostro arrivo a Santo Domingo. L’Italia è ormai lontana, anche se presente nei pensieri. Il tempo scorre rapido e tuttavia sembra sia passato un anno dalla nostra partenza. Sono sempre più contento di essere qui, e con qui intendo esattamente qui, in questo progetto, in questa casa e in questa strana città di questo bellissimo Paese.


Più proseguiamo in questa entusiasmante esperienza, più mi rendo conto di quanto sia difficile il ruolo dell’educatore (in particolare, credo, in contesti problematici come quello in cui ci troviamo a cooperare). Ricordo la prima persona che mi fece riflettere sull’etimologia del verbo “educare”. Avevo diciassette anni ed ero stato rimandato per la seconda volta in terza superiore. Da li in poi mi è spesso capitato di tornare a riflettere sull’importanza di questo verbo, del quale troppo spesso ci scordiamo l’originale significato; dal latino “educĕre” (“trarre fuori”). Solo ora che mi ritrovo educatore ne percepisco le difficoltà pratiche.


Cercherò di spiegare attraverso un paragone una delle difficoltà che sto riscontrando. Il paragone è quello tra allopatia e omeopatia. Mentre la medicina tradizionale cerca delle soluzioni che possano “soddisfare” il maggior numero di persone affette dallo “stesso sintomo”, l’omeopatia prima di fornire dei rimedi cerca di capire le ragioni che hanno portato a determinate manifestazioni sintomatiche e un omeopata baserà, infine, l'intervento terapeutico, in funzione delle specifiche caratteristiche del paziente. La differenza principale sta nel modo in cui ci si relaziona al paziente, nel modo in cui lo si prende in considerazione.


Come nell’omeopatia, vorrei riuscire ad arrivare (o a raggiungere) ogni bambino, ragazza o ragazzo in modo diverso, partendo appunto dalle particolari caratteristiche che li differenziano. Ognuno ha bisogno di essere ascoltato e accompagnato nel suo unico ed irripetibile percorso di vita in maniera diversa a seconda della sua personalità, del suo comportamento e delle sue capacità. Proprio per questo credo che l’educatore debba sempre cercare di essere il più dinamico possibile. Dovrebbe saper improvvisare (e in questo i continui progressi con lo spagnolo aiutano molto). Dovrebbe avere pazienza, molta! Dovrebbe saper chiudere un occhio se la situazione lo richiede. Non dovrebbe mai sbilanciarsi; rimanere calmo dentro, anche quando fuori si mostra arrabbiato e dispiaciuto. Dovrebbe saper distinguere un atteggiamento da un comportamento e, infine, non deve mai smettere di lavorare su se stesso, di osservarsi, così da poter divenire un esempio costante e coerente con la teoria del metodo che adotta.


Se pur faticoso e pieno di ostacoli, il cammino che stiamo disegnando qui mi riempie di gioia. I ragazzi sono meravigliosi. Delle forze della natura. Dei raggi di sole, come avrebbe detto mia nonna. Jostin, Anahi, Enrique, Alberto, Abrahm, Ivanna, Mariana, Nancy, Mayerli, Israel e David sono i piccoli (e meno piccoli) del “primero nivel”, la classe che sto seguendo da più di due mesi ormai. Con loro si sta creando un rapporto di affetto e di fiducia incredibile, se penso alle prime settimane in cui non erano pochi i momenti in cui mantenere la calma era davvero difficile ... Sono fantastici, come tutti gli altri ragazzi del progetto, dei quali non riporto i nomi solo per evitare di rendere questa relazione un elenco nominativo.


Padre Sereno, ultimamente, è davvero sereno. Ride, scherza e fa battute. Il tredici novembre c’è stata la cena sociale ed è stato bello aiutare insieme ai ragazzi più grandi del progetto (che hanno cucinato una cena squisita sotto la guida di donna Lucita, la nostra cocinera) e ai ragazzi che ci hanno raggiunto da Tena e da Quito. I rapporti con padre Christian sono sempre buoni. Tuttavia stiamo riflettendo sulla possibilità di fare delle riunioni con tutti i professori ogni venerdì, così da poter coordinare meglio il nostro lavoro e renderlo al contempo più efficace.


In questo mese è successo anche un incedente, nel quale un bambino, Jostin, è stato spinto giù dal rimorchio del trattore e ha sbattuto gravemente la testa su un sasso, procurandosi una ferita di sette centimetri. Per fortuna con Flavia, Ottavio e Darwin, il “chofer” del progetto, abbiamo raggiunto subito il pronto soccorso di “Cristo Vive” e il dottore è stato davvero bravo nel pulire e ricucire la ferita. E’ stata un’esperienza molto forte, anche perché l’ho vissuta in prima persona tenendolo in braccio fino a quando il dottore non ha finito di cucire l’ultimo punto. Per fortuna Jostin è una roccia e si è ripreso subito. Oggi gli hanno levato i punti e domani dovrebbe tornare in classe dopo due settimane di assenza. Dal giorno dell’incidente quella che era una regola che nessuno rispettava, ovvero il non far salire i ragazzi sul retro delle macchine, carri o trattori che siano, è divenuta legge inderogabile.


Con i ragazzi, in casa, va sempre bene ed è bello condividere con loro questa fantastica esperienza. Insomma la vita qui è intensa e io mi sento molto più vivo di quanto non lo fossi prima di iniziare il servizio civile. Sento che questa esperienza mi sta facendo un gran bene e vi sono grato per avermi dato questa possibilità.

 

 

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