La Siria delle meraviglie, quella di Damasco, “perla d’Oriente”, di Aleppo con le sue belle chiese e moschee, di Homs, è oggi un mare di macerie. Per Palmira, su cui pesa la minaccia della distruzione, restiamo tutti con il fiato sospeso.
Ma più delle vestigia antiche, è lo scenario civile che lascia sgomenti. Oltre quattro milioni sono gli sfollati interni e tre milioni i siriani fuggiti e rifugiatisi nei paesi vicini: Giordania, Libano, Turchia. Il destino più crudele è però quello dei cristiani: com’è già accaduto in Iraq, anche in Siria la loro sopravvivenza è a forte rischio.
A Damasco, famiglie residenti e famiglie di sfollati, spesso diverse per fede, censo, etnia, sono accomunate da una povertà diffusa che le rende indistinte. In mezzo ai contendenti in lotta fra loro, vive una moltitudine che soffre e vuole la pace.
I quattro cavalieri dell’Apocalisse da troppi anni ormai imperversano in Siria, lasciando ciascuno il segno della propria forza malefica: la guerra, la violenza, la carestia, l’infermità. Ma a Damasco ci sono quattro suore dell’Ordine di Santa Giovanna Antida, che con tenacia e coraggio, stanno portando avanti una battaglia inversa, silenziosa ma esemplare per chi ama la pace. Al male dei cavalieri dell’Apocalisse, queste suore, confortate dalla fede, oppongono una condotta semplice ma eroica, che sembra ispirata a quelle azioni di San Francesco capaci di tenere uniti il Cielo e la Terra.
Là dove scoppia una bomba sanno indicare un rifugio, al pianto di un bambino terrorizzato sanno portare la calma di una carezza, di fronte alla fame o alla penuria di cibo sanno trovare i necessari alimenti per poi distribuirli equamente tra la popolazione, se vedono una persona malata sanno recare cure e conforto. È una lotta impari di fronte all’infuriare apocalittico del male, ma nel buio siriano queste quattro suore riescono a tenere accesa la flebile luce della speranza. Una luce difficile da spegnere perché è l’unica a dare una risposta alla caducità del genere umano su questa terra.
ENGIM sta realizzando a Damasco progetti con le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, presenti in Siria da moltissimi anni. Nel 2014 la loro scuola è stata distrutta da un bombardamento. Esse non sono fuggite, ma sono state costrette a trasferirsi in un altro quartiere della città, presso il Patriarcato, ritenuto più sicuro. Gli interventi ENGIM sono rivolti non solo al ripristino della funzionalità dell’attuale scuola, ma anche al sostegno delle famiglie siriane più indigenti (prodotti alimentari, indumenti, gasolio per riscaldamento, illuminazione domestica).
Sr Fida Chaya, una di queste straordinarie suore di Damasco, ha lasciato ad ENGIM una sua preziosa testimonianza, che qui riportiamo per intero.
Giuseppe Mazzini
La pace è più forte della guerra
Arrivata in Siria nel 2006, ho vissuto quattro anni di pace e in sicurezza chiedendomi fiduciosa: è vero che esiste un luogo senza guerra? In realtà ho passato tutta la mia vita in un paese in guerra. Rimane vivo nei miei ricordi d’infanzia il primo massacro e l’esodo della popolazione dal nostro villaggio di Damour du Chouf in Libano. Uccisioni, rapine, paura, angosce, tutte queste realtà le ho vissute da quando ero bambina. Di esse ho ricordi che colpiscono ancora la mia fragile umanità.
Con le mie consorelle in Siria, gestivamo una scuola, bella, nuova, di 2.300 alunni, ma concepita per accoglierne 3.000 e in breve tempo! Io ero responsabile della scuola materna, con 35 istitutrici e 500 bambini. Abbiamo vissuto insieme momenti meravigliosi. Mi sembrava di vivere in un paradiso con e per i bambini. Il nostro unico obiettivo era lo sviluppo sereno dei bambini.
Credevo di vivere un sogno profondo. Ed ecco che nel 2011, la violenza della guerra scoppia in Siria. La situazione si aggrava, delle bombe arrivano fino alla scuola. La paura e l’insicurezza obbligano i genitori a ritirare i loro bambini per portarli in un’altra scuola, più vicina alle loro abitazioni. Le famiglie più benestanti decidono di lasciare il paese, anche se due mesi dopo ci ritroviamo con 800 alunni e con la quasi totalità dei docenti. Ma alla fine ci sarà l’abbandono del quartiere, divenuto un luogo strategico di combattimenti. Siamo obbligate a trasferire la scuola nei locali del Patriarcato, del tutto privi di arredi ed attrezzature ma più sicuri.
Siamo quattro religiose, due siriane e due libanesi. La nostra Superiora provinciale ci ha chiesto più volte se volevamo lasciare il paese. Noi non siamo obbligate a restare, ma desideriamo condividere con la gente questa vita difficile. Noi possiamo offrire il nostro personale sostegno, il nostro lavoro, nonostante la debolezza delle nostre forze. Così cerchiamo di percorrere insieme alla popolazione lo stesso cammino, cercando di ritrovare la gioia e la speranza nonostante le bombe e la miseria, e aspettando soprattutto la pace.
Quest’anno la mia Superiora mi ha chiesto di prendere in carico la responsabilità della comunità e della scuola, che conta attualmente 1.000 alunni e 180 persone tra educatrici e impiegati. Mi sono avventurata in questa sfida, superando le difficoltà e la paura per celebrare la vita più forte della morte sia nella scuola che fuori, con un solo obiettivo nella mente: la crescita e l’educazione dei bambini pur nelle difficoltà del momento, ma anche l’appoggio a persone disperate, depresse, perdute.
Nella Bibbia, 365 volte Gesù ci dice «Non abbiate paura, abbiate fiducia perché io sono con voi”. Ecco la mia consolazione quotidiana! Perché tutti i giorni noi andiamo a scuola senza sapere se rientreremo sane e salve a casa con i nostri alunni. Sono convinta che se io sono in vita è perché ho ancora una missione grande da svolgere su questa terra.
La guerra ci ha spinte a riorganizzare la nostra missione, ad essere ancora più vicine ai poveri e a servirli, come chiedeva la nostra fondatrice Santa Giovanna Antida Thouret.
Prima della guerra, lo scopo della nostra missione erano la scuola e qualche ora di pastorale nella parrocchia. Ora abbiamo due priorità: la scuola e le famiglie di rifugiati, impoveriti da questa guerra atroce. Perché a Damasco i rifugiati di tutte le religioni e culture sono arrivati in gran numero da ogni angolo della Siria. Quasi tutti i giorni, dopo la scuola, noi visitiamo queste famiglie. Perché lo facciamo? Possiamo forse aiutarle da lontano? Con le nostre visite noi riusciamo a toccare le piaghe della gente, le cui ferite sono multiple e di diversa origine: fisica, psicologica, spirituale. Talvolta siamo là con queste persone, senza nulla da dire, solamente per offrire il nostro ascolto. Esse ringraziano per la nostra presenza e il nostro conforto. Si sentono fiere e ancor più tranquillizzate perché, essendo noi religiose, dicono che la Chiesa le ha visitate.
Oggi, mi chiedo ancora se sto vivendo in un sogno o nella realtà, quando mi sorprendo a comparare il paese di quattro anni fa con quello che è diventato ora.
Noi speriamo sempre nella pace! La nostra preghiera, quella del popolo siriano, si unisce a quella di Gesù in croce, che si può riassumere in poche parole: “Signore, porta la luce nei cuori sprofondati nelle tenebre e perdona tutti quelli che vogliono la guerra, perché essi non sanno quel che fanno”.
Ogni volta diciamo che l’anno prossimo saremo nella nostra scuola e questa speranza non ci lascia mai. Il Signore sa più di noi ciò che è bene per noi. Che sia fatta la Sua volontà.
Sœur Fida,
Congrégation des sœurs de la charité de Ste Jeanne- Antide «de Besançon».
Damas – Syrie.