Partita a maggio per lavorare come volontaria in Servizio Civile, Erika Fontana è rientrata da pochi giorni dalla Sierra Leone per la diffusione dell’ebola. Le abbiamo rivolto alcune domande per conoscere direttamente da lei la reale situazione nel disastrato Paese africano.
Per prima cosa ben tornata a casa Erica. Com’ è adesso la situazione in Sierra Leone ed in particolare a Freetown?
La situazione in Sierra Leone è tutt’altro che rosea; l’aria che si respira è di tensione, diffidenza del prossimo e paura. Ad essere sincera, il governo, secondo il mio parere, si è mosso troppo tardi; se la gravità della situazione fosse stata percepita fin dai primi mesi, quindi si parla bene o male intorno la fine di maggio ed inizio giugno, le condizioni odierne non sarebbero così drastiche. Il governo sierra leonese ha dichiarato che non è in grado di fornire un numero esatto dei casi contagiati e mortali causa Ebola; questo fa rispecchiare quanto la situazione sia grave, azzarderei a dire fuori controllo. Prima dell’ allarmismo che si è venuto a creare a fine luglio, le persone locali prendevano in modo scherzoso ed ironico le notizie dei primi casi di Ebola verso l’est del paese, ai confini con la Liberia.
Solo la mattina del venerdì 1 agosto la St. Michael Primary School, la scuola dove lavoravo a Kissy, è stata chiusa, come poi in seguito tutte le altre scuole per causa Ebola. Tutte le scuole, assieme ai vari appelli per gli esami sono stati sospesi fino a nuovo ordine. Solo lunedì 4 agosto il governo sierra leonese ha obbligato il blocco di tutte le attività e della circolazione di veicoli e delle persone per restare chiusi nelle proprie case e commemorare tutte le vittime causate dal virus, discutere di questa malattia infettiva e pregare perché Dio li aiuti. Solo nella seconda settimana del mese di agosto il governo ha bloccato la libera circolazione in entrata e in uscita di veicoli nella città di Khenema, dove vi sono stati confinati i casi affetti da Ebola.
Solo adesso il governo si sta muovendo ... Inizialmente tutto è stato preso con troppa leggerezza e superficialità e adesso si sta cercando di riparare l’irriparabile, con precauzioni come queste e altre meno sensate, come quella di chiudere la circolazione dei trasporti nel villaggio di Lunsar per cinque giorni ... io mi chiedo che senso abbia bloccarlo per soli cinque giorni e poi riaprirla. O anche il fatto che a Kissy siano state chiuse tutte le farmacie per ordine del governo. Proprio non so che pensare.
Per quanto riguarda Kissy più in specifico, per il momento pare non ci siano casi di Ebola; si è sentito che ci sono stati dei casi a Freetown, ma non ne ho la certezza perché le informazioni ci arrivavano a spezzoni quando ero in Sierra Leone. So solo che se l’ epidemia non viene contenuta e riesce a raggiungere Kissy e conseguentemente Freetown (la capitale), la situazione sarà inimmaginabile; sono zone troppo sovraffollate. Sono sull’ orlo del baratro, un passo falso e tutto precipiterà a fondo e si ha la sensazione che questo non venga percepito.
La gente come sta vivendo questo dramma, quali sensazioni hai percepito?
Le persone adesso hanno paura. Nelle ultime due settimane di agosto che ho trascorso a Kissy ho potuto notare il cambiamento del loro comportamento rispetto al virus.
Inizialmente, come affermato precedentemente, la maggior parte delle persone con cui sono entrata in contatto, quindi dai miei coetanei a persone più adulte, denigravano i fatti che stavano avvenendo al confine; consideravano l’ Ebola come un’ invenzione del loro governo per riuscire ad avere fondi dai Paese occidentali; scherzavano sul fatto di aver contratto il virus creando una sorta di gioco, quando si stavano già rendendo pubblici i primi numeri dei casi di decesso per Ebola; affermavano di essere stanchi di sentir parlare di questi fatti, erano quasi indispettiti dal continuo ripetere le notizie che ci pervenivano; pensavano fosse una farsa e si comportavano di conseguenza. A molti sembrava non gli importasse, altri invece cominciavano a farsi qualche domanda in più e cercare di sapere la verità e alcuni sapevano ma non prestavano caso a ciò che accadeva.
Ho notato tanta leggerezza nel loro modo di approcciarsi a questo problema, tanta superficialità, tanta, troppa tranquillità. Ma ora hanno paura. Il loro comportamento è mutato, “saful saful” (piano piano) hanno come iniziato a comprendere realmente il pericolo sempre, giorno dopo giorno, più vicino a loro.
Se inizialmente ci ridevano sopra, adesso sono più consapevoli e seri al riguardo; temono l’ Ebola. Quando la scuola è stata chiusa, mi sono permessa di chiedere a Mrs. Binta, una delle insegnanti, come vedeva ora la situazione rispetto poche settimane prima; il suo sguardo e le sue espressioni facciali sono cambiate al sentir pronunciare il solo nome del virus e mi rispose, con aria cupa, che aveva paura, ma che si rincuorava nella volontà di Dio, Dio li avrebbe salvati; e lei era una delle tante persone che non si interessava al problema; e come lei, anche tutti gli altri hanno iniziato a cambiato atteggiamento e a realizzare finalmente che l’ Ebola esiste davvero, che è vicina a loro e che è una cosa concreta e non inventata.
Con il passare del tempo, soprattutto nelle ultime due settimane, ho visto persone che evitavano di prendere i trasporti pubblici perché sempre sovraccarichi; altri addirittura indossavano dei guanti in lattice per girare nelle stradine di Kissy; il loro modo di salutarsi è cambiato: prima ci si stringeva la mano, ci si abbracciava, c’era molto contatto fisico, e adesso è quasi annullato. Ci si saluta inclinando lievemente il capo o portando la mano destra al petto, ma tutto a debita distanza. E in questo caso, ho notato quanto le persone ne soffrano; è nella loro cultura; vivono di contatto fisico, dal saluto al darti il “cinque" per un’ affermazione spiritosa.
Le persone hanno iniziato a porre fuori dai luoghi con maggior afflusso, quali scuole, attività, ospedali, chiese, moschee, dei “bidoni” pieni d’ acqua con all’ interno del cloro per lavarsi le mani prima di entrare all’ interno; anche al Murialdo Home e nella mia scuola, la Primary School si è preso tale provvedimento.
In queste foto per esempio, si vedono Mr. John che si sta rivolgendo ai bambini della scuola elementare della St. Michael, spiegando loro il come e il perché devono lavarsi le mani.
Nella seconda invece si possono notare Alusine, circondato dai suoi compagni, che si sta lavando le mani con il cloro.
Ora la maggior parte delle persone sono molto più caute e scrupolose; anche per esempio alla sera. Prima si sentivano i continui schiamazzi e la musica sparata a tutto volume dai “locali” circostanti, ma nell’ ultimo periodo, invece, tutto questo si è paralizzato; tutti rimangono nelle loro case la sera, quasi nessuno esce, le strade sono quasi deserte, i bar sono chiusi, c’è un silenzio che ti fa veramente rabbrividire.
Quali credi siano i bisogni maggiori per la popolazione?
Secondo me la popolazione avrebbe bisogno di più informazione da parte del governo: si sanno e non si sanno le cose. Molte cose non sono chiare al popolo sierra leonese: il trattamento che viene effettuato una volta riscontrato che si è affetti da Ebola, come mai il virus ha preso forma, cosa fanno i dottori ... C’è una conoscenza troppo superficiale sull’ argomento.
Avrebbero bisogno di una spiegazione più precisa e non le “solite” quattro affermazioni che il Ministero della Salute e della Sanità e UNICEF continuano a ripetere da mesi ormai, come:
- Non scambiarsi rasoi o aghi
- Non mangiare la carne degli animali selvatici specialmente scimmie, scimpanzè e pippistrelli
- Non mangiare i frutti intaccati dagli animali
- Non stringersi le mani per evitare la diffusione del virus
- Lavarsi sempre le mani con il sapone, specialmente dopo aver toccato una persona malata
Questi sono solo alcuni dei punti per prevenire l’ Ebola che vengono continuamente diffusi fra il popolo dalle autorità, ma non ti spiegano specificatamente ciò che avviene prima, durante e dopo il contagio.
Le persone sono convinte che siano proprio le strutture ospedaliere a fargli contrarre il virus tramite le iniezioni, perchè non hanno fiducia nei medici, non sanno come la situazione venga trattata e di conseguenza sospettano di tutto e tutti, dai dottori al governo, dagli amici ai familiari. Hanno paura a recarsi in ospedale e quindi preferiscono stare a casa pur essendo ammalati, mettendo così a rischio tutti.
Durante gli ultimi giorni, alcune persone hanno affermato che hanno veramente paura ad entrare nelle strutture sanitarie e penso che se fossero più informati a riguardo e rassicurati da parte del governo qualcosa potrebbe cambiare; certo non è semplice raggiungere ogni singola parte della Sierra Leone per i miriadi di villaggi, più o meno grandi, che si possono incontrare inoltrandosi nella “bush”, ma penso anche che adottando questa soluzione, ci sarebbe un cambiamento positivo.
Tornata in Italia, come pensi che sia affrontato in occidente questo problema, con la giusta consapevolezza o no?
Sinceramente vedo la stessa superficialità e leggerezza che ho visto in Sierra Leone prima che la situazione sfuggisse di mano.
E’ inammissibile che una persona sia libera di lasciare la Sierra Leone così liberamente senza prendere precauzioni adeguate, per poi raggiungere il proprio Paese, che sia l’ Italia, la Spagna, l’America, o qualsiasi altra nazione. Quando il 10 agosto mi sono diretta all’ aeroporto di Lungji per prendere il mio volo per tornare in patria, le procedure che hanno assunto sono state scioccanti da quanto superficiali sono state: ci hanno fatto lavare le mani con il cloro prima di permetterci di entrare in aeroporto, ci hanno fatto una foto e compilare un foglio con i propri dati personali italiani e sierra leonesi; inserire i nomi delle nazioni visitate negli ultimi due mesi e in che areee ci si era recati e sbarrare con una crocetta le caselle del “yes" o del “no" di alcune affermazioni riguardanti lo stato della salute, come: “Hai avuto febbre nelle ultime due settimane"; “Sei entrato in contatto con una persona ammalata con febbre ed emoraggia?"; “Mal di pancia" o “Difficoltà a respirare" o “Nausea". Prima di poter passare nell’area riservata ai check-in, c’erano tre dottori che ti controllavano la temperatura corporea e il foglio appena compilato e poi potevi tranquillamente proseguire il tuo viaggio. Entrata in Europa invece, non ho incontrato alcuna difficoltà, non sono previste procedure particolari per i passeggeri provenienti dalle zone dell’ Africa affette da Ebola. Allucinante. Mi ricordo che io e Stefano (l’altro volontario ENGIM) ci siamo guardati un po’ perplessi. Non capivamo del perché avessimo così tanta libertà di movimento.
E’ un’incoscienza ... certo ... Non bramo dalla voglia di essere messa in quarantena per poi avere l’autorizzazione di entrare in Europa, ma se questo è l’unico modo per prevenire la diffusione del virus anche in Occidente, perchè non adottarlo? Ci stiamo mettendo a rischio con le nostre stesse mani, non è più un problema che riguarda soltanto il West Africa.
Come ho avuto modo di riscontrare qui in Italia, la maggior parte delle persone non ha una minima idea di cosa sia l’Ebola, di come si trasmetta, cosa causa e da cosa derivi; appunto perché pensano sia un problema che riguarda solamente l’ Africa.
Alcuni delle persone che conosco si sono molto interessate a questo problema e infatti mi hanno immediatamente chiesto se mi avessero fatto degli accertamenti prima di farmi tornare in Italia, e alla mia risposta negativa, sono rimasti allibiti che non abbiano eseguito nessun controllo o che non abbiano adottato delle norme di sicurezza. Alcuni fanno anche battutine sull’ argomento, come: “Speriamo che tu abbia lasciato l’ Ebola in Africa” o “Non ti tocco perché sei infetta”; ma non c’ è la consapevolezza al riguardo. E penso che questo sia dovuto al fatto che è considerato un problema distante anni luce dalla nostra realtà.
Cosa riporti a casa di questi pochi mesi di volontariato in Sierra Leone?
Eh ... Porto a casa tanto.
Mi ricordo quando Francesco Farnesi mi disse: “Molto spesso sei tu che hai più bisogno di loro di quanto loro abbiano bisogno di te”.. e proprio così è stato. Ti lasciano un qualcosa che è indescrivibile, che ti riempie dentro di felicità e nostalgia, ti viene da sospirare ricordando tutte le cose che hai visto, tutti i visi che hai incontrato, le cose che hai fatto, tutte le cose imparate, tutte le situazioni vissute, dalle più spensierate a quelle più pensierose, dalle più comiche alle più tristi; tutte le persone con cui hai condiviso le giornate, con cui hai riso, pianto, scherzato, imparato, condiviso.. penso che una volta che torni alla tua vera casa ci si senta come un innamorato abbandonato, ahah.
Sono tornata a casa e con me tutti i ricordi di questi tre mesi, tutte le cose imparate, tutte le varie esperienze vissute; penso che l’ Africa, la Sierra Leone, mi abbia insegnato molto su come affrontare le difficoltà, sull’ essere un po’ più critici osservando le cose e cercarle di capire veramente; mi ha insegnato ad apprezzare tutto quello che ho, che ora come ora, mi sembra così eccessivo; mi ha insegnato a sorridere sempre alla vita, a prendere le cose con più serenità; mi ha fatto capire quanto fortunati siamo. Con le sue infinite tempistiche mi ha insegnato ad avere tanta pazienza, a capire che tutte le cose hanno sempre un suo tempo.
E’ veramente un’esperienza che ti rimane dentro, un’esperienza che a parole è veramente difficile da spiegare e farla comprendere in tutte le sue sfumature e sfaccettature.
E’ un’esperienza che ti permette di essere utile al prossimo, che siano i Padri della missione, i bambini della scuola o semplicemente il tuo collega o un tuo amico. Questo affiancato al fatto che mentre stai lavorando stai contemporaneamente imparando una nuova lingua, la loro; una nuova cultura, mentalità; un nuovo modo di vivere e relazionarsi; un nuovo modo di vedere le cose e pensare; e ad un tratto entri dentro al loro mondo, vieni letteralmente catapultato nel loro mondo senza rendertene conto e ad un tratto cominci a ragionare e vivere come loro; dentro di te avviene come una fusione fra due mondi completamente diversi fra loro, amalgamandosi e a volte scontrandosi.
Di certo è un’ esperienza che consiglio di fare perché ti da veramente tanto ... torni a casa arricchita in tutte le sfaccettature della vita. Sicuramente la mia.
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