Ci sono voluti la bellezza di 396 giorni per dare al Libano un “nuovo” governo. Nuovo per modo di dire visto che Najib Mikati, miliardario sunnita, è già stato due volte primo ministro. Il lavoro che questo esecutivo si trova a dover affrontare è a dir poco titanico. L’esplosione del 4 agosto 2020 non ha soltanto distrutto una città, Beirut, ma ha letteralmente mandato in frantumi le ultime speranze del popolo libanese. “Quello che è successo lo scorso anno ci ha fatto piegare la testa – racconta suor Myrna Farah, che a Beirut dirige una scuola cattolica e collabora da tempo con l’ENGIM -. Si è rotto ogni legame che la popolazione aveva con il Paese legale, e anche i giovani hanno perso le speranze di poter cambiare questo Paese”. Proprio loro, i giovani, avevano animato il movimento “17 ottobre 2019”, chiedendo le dimissioni dell’ennesimo governo corrotto ed il superamento del sistema confessionale, da tutti ritenuto all’origine del collasso libanese.
Unico esempio del genere al mondo, una convenzione costituzionale siglata in maniera informale nel 1943, obbliga il presidente della repubblica ad essere cristiano maronita, il primo ministro sunnita ed il presidente del parlamento sciita. Ma non solo, anche gli incarichi amministrativi sono suddivisi tra le differenti confessioni religiose secondo un meccanismo predeterminato di quote. “Le funzioni pubbliche devono essere divise al 50 per cento fra i cristiani ed i musulmani - spiega ancora suor Myrna, a Roma per il capitolo generale della sua congregazione, le suore di Santa Antida Thouret - ma essendo i primi solo il 35 per cento della popolazione, un 15 per cento di cariche viene delegato ai secondi, i quali però non possono prendere nessuna decisione, un sistema folle che ha favorito la corruzione e bloccato il Paese”.
Con le lacrime agli occhi la suore racconta “l’inferno” che si vive nel suo Paese: il tracollo del sistema economico finanziario, l’impasse della politica, la mancanza di infrastrutture. “I tre quarti della popolazione vivono sotto la soglia della povertà, abbiamo l’elettricità per 4 ore al giorno e ovunque manca il carburante, in pratica non funziona nulla, le autoambulanze non possono circolare, gli ospedali sono al collasso, la gente non sa come vivere, scarseggiano le medicine ed il cibo per i bambini, una situazione allucinante e in cui non si vede una via di uscita”.
Gli aiuti economici promessi dal Fondo Monetario Internazionale sono subordinati ad un profondo sistema di riforme che, si dubita, questo governo possa attuare. Ma anche se arrivassero i miliardi di dollari tanto attesi, non è su questi che si possono riporre delle speranze durature, corruzione e intrallazzi vari ci possono mettere un attimo a farli sparire.
Il Libano è una realtà del tutto eccezionale nel Medio Oriente, una nazione dove la convivenza tra le confessione religiose è all’ordine del giorno. Un Paese in cui non esistono estremismi e dove i musulmani non si fanno problemi a mandare i figli nelle scuole cristiane, sia ortodosse che cattoliche, dove i giovani escono insieme, ognuno col proprio simbolo religioso addosso, senza che questo crei ostracismi o rifiuti. Questa è la vera ricchezza del Libano. L’antico “Paese dei cedri” dovrebbe essere il laboratorio di una nuova umanità dove poter vivere gli uni accanto agli altri. La società multiculturale agognata da tanti è già realtà nella “porta” dell’Oriente. Il Libano ha sperimentato la fratellanza del sangue ed ha iniziato a vivere, già da molti anni, anche l’accoglienza. Profughi palestinesi e siriani continuano a trovare, in questa piccola striscia di terra, riparo da guerre e persecuzioni. Un esempio per il mondo intero di ciò che voglia dire solidarietà e convivenza, non a parole ma incarnate nella vita quotidiana di questo popolo. Questa l’ultima speranza per il Libano, che il mondo si accorga di quello che rappresenta per tutti e per ciascuno.